Si parla di patrimonio culturale e degli usi che è possibile farne. Lo facciamo con Ciccio Mannino che dal 2010 con le Officine Culturali si occupa di animare la vita all’interno del Monastero dei Benedettini di Catania. Un podcast ricchissimo e un po’ più lungo del solito perché con Ciccio andiamo a scoprire quale sia il senso vero del patrimonio culturale: non un semplice luogo da visitare in silenzio, ma qualcosa che possa avere una forte valenza sociale. Si parla anche di turismo che troppo spesso è associato – forse erroneamente – alla cultura. Insomma un sacco di cose, che ancora non capisco come è che ancora non abbiate cliccato play!
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L’immagine di copertina è stata presa qui.
Link utili
- Il sito delle Officine Culturali: officineculturali.net
- Il numero della rivista ArtLab: Taccuino di viaggio in quattro tappe
- La carta di Lanzarote per un turismo sostenibile
La citazione di Ciccio
Leggi la trascrizione del podcast
[FABIO] E sono 50, signori. Quello che stai ascoltando è il podcast numero 50 di Start Me Up, il format che parla di innovazione tecnologica e sociale al Sud Italia. Io sono fabio Bruno e ti ricordo che Start Me Up è prodotto da Smartwork, idee digitali per il mondo reale in collaborazione con Keedra hosting, servizi web per il tuo business.
[FABIO] Podcast di Start Me Up totalmente immerso nel mondo della cultura e del patrimonio culturale del nostro paese. Un patrimonio inteso come bene comune ma anche come spazio accessibile alla cittadinanza. In questo senso Catania con Ciccio Mannino sta lavorando molto bene e quindi vediamo di capirne un po’ di più. E lo facciamo con Ciccio Mannino che è al telefono con noi. Ciao Ciccio, benvenuto a Start Me Up,
[CICCIO] Ciao, grazie per l’invito.
[FABIO] Grazie a te per essere con noi. è per me davvero un onore averti come ospite. Per prepararmi a questa intervista ho girato un po’ sul web e di cose da dire ce ne sono tante. Partiamo dai titoli, tu sei il presidente di Officine Culturali, giusto?
[CICCIO] Si sono il presidente di Officine Culturali dal 2012.
[FABIO] Di cosa vi occupate?
[CICCIO] L’associazione, che è una no profit fondata nel 2009, si occupa prevalentemente di accessibilità del patrimonio culturale. Una cosa che qualcuno chiama valorizzazione, qualche altro chiama fruizione. Quello che a noi interessa soprattutto è questo: il patrimonio culturale è il prodotto del lavoro dell’uomo – o nel caso del paesaggio e dell’ambiente – sedimentato secoli e millenni dopo millenni. Sostanzialmente il modo in cui sono sopratutto gli esseri umani hanno prodotto, come dire, la rappresentazione di sé stessi. Noi riteniamo che questo non afferisca soltanto al bello ma anche al significativo per quello che noi siamo nel presente. Noi diciamo che è un libro dalle pagine di pietra che ci può spiegare perché oggi noi siamo come siamo in buona sostanza. Magari non da un punto di vista biologico ma da un punto di vista culturale. Allora riuscire a rendere comprensibile un patrimonio che da solo, poverino, non riesce a spiegarsi automaticamente ma aiutarlo attraverso, come posso dire, le forme di mediazione culturale. Cioè sostanzialmente forme di mediazione tra il patrimonio stesso nelle sue diverse accezioni: può essere un libro a stampa, può essere un’opera d’arte, può essere un edificio monumentale come il monastero dei benedettini in cui lavoriamo e le persone che per qualche motivo avrebbero interesse a capire in che maniera quel posto, quel luogo, quell’oggetto, quella manifestazione, quel sapere è rilevante per sé. Allora non è automatico questo rapporto. Questo è un rapporto da costruire, da incentivare, da mediare. Questo un po’ il nostro lavoro.
[FABIO] Mi piace molto la definizione che date di voi sulla vostra pagina facebook “Progettiamo il futuro per il nostro passato: il patrimonio culturale siciliano per fare innovazione sociale”. Come lo declinate concretamente?
[CICCIO] Viviamo un presente come se fosse, come dire, il prodotto di se stesso. Cioè viviamo il presente molto immersi nell’essere presente. Quindi spesso ci mancano le giuste coordinate per tentare di ragionare su quello che è invece inevitabilmente un nostro compito cioè costruzione anche del futuro. Sia il nostro futuro sia quello e consegneremo ad altri. Allora poter ragionare su quello che nel passato è stato costruito e farlo per avere degli strumenti in più per costruire un futuro diverso. Faccio un esempio per essere un po’ più concreto. Quando raccontiamo delle diverse vicende che hanno accompagnato il Monastero dei Benedettini nella sua lunga storia, circa 500 anni, ma il territorio su cui insiste ne ha almeno 5000, spesso i nostri visitatori, i nostri utenti, le scolaresche che passano, il viaggiatore e così via, colgono delle lezioni di carattere generale. Uno per tutti il Monastero dei Benedettini fu difeso nel 1669 da una lava che poi era quella lava che poi sostanzialmente ricoprì tutta la città occidentale di Catania. Degli uomini attraverso l’ingegno e anche i denari riuscirono a fare in modo che alcuni edifici soprattutto il Monastero dei Benedettini ne uscissero pressoché illesi dalla furia della colata lavica. Come fecero questo? Con l’ingegno che oggi ancora oggi, mutatis mutandis, è lo stesso ingegno che spesso viene utilizzato per deviare la lava quando va a minacciare alcuni paesi. Oppure Il Monastero dei Benedettini è stato ricostruito dopo il drammatico e terribile terremoto del 1793 come gran parte delle città della Sicilia orientale con delle tecniche che innovavano in qualche modo le precedenti costruzioni, memori delle motivazioni che avevano portato a dei crolli distruttivi. È incredibile quanto il nostro presente che parla ancora oggi in un Italia molto fragile, possa tenere in conto del comportamento di quelle popolazione di quei tecnici rispetto all’ingegno che utilizzarono per ricostruire. Quindi il patrimonio non è soltanto il bel patrimonio o il bel quadro o il fregio architettonico. Alle volte è anche un pezzo di storia, quel passato che ci serve per cui bisogna costruire un futuro e che ci permette di costruire un futuro alle volte, permettendoci, e sarò più chiaro se vuoi dopo, di utilizzarlo in maniera innovativa dal punto di vista delle relazioni sociali.
[FABIO] Stai ascoltando il podcast numero 50 di Start Me Up. C’è Fabio Bruno al microfono e sto parlando con Ciccio Mannino di Officine culturali. Il nome di Officine Culturali è strettamente legato al Monastero Benedettino di Catania, lo hai nominato più volte, giusto?
[CICCIO] Sì noi siamo qui dal 2010 con una convenzione dell’Università di Catania. Considera che lavoriamo con circa 35/36 mila persone l’anno che sono nostri utenti, partecipanti. Qualcuno li chiama clienti a noi interessa più chiamarti partecipanti. Sono persone che a diverso titolo in diversa maniera svolgono con noi visite guidate laboratori didattici percorsi ludico-didattici per le scuole, spettacoli teatrali, concerti, attività musicali, presentazione libri eccetera eccetera. E sono persone a cui noi consentiamo un approccio a questo pezzo significativo del patrimonio culturale della città attraverso diverse forme di mediazione culturale. Ma la cosa che ci interessa moltissimo è che molta di questa gente, soprattutto, i più piccoli, torna a utilizzare questo bene che ricordiamo l’università accessibilissimo e apertissimo assai permeabile perché è un posto che chiunque può usare, ovviamente rispettando le regole che lo animano, tornano per fare anche altre cose. Capita spesso che ragazzini che hanno fatto la visita guidata con la scuola superiore, poi tornino a studiare anche nei giorni liberi. Questo è importantissimo ed è la seconda parte di quel principio che tu leggevi nella nostra pagina Facebook. È importantissimo perché significa sostanzialmente che un bene pubblico torna a essere bene pubblico torna ad essere pienamente fruibile dal pubblico e soprattutto dalle comunità di riferimento.
[FABIO] Oltre alle visite guidate so che di recente avete presentato “Kiwi, deliziosa guida di Rosarno”, cosa è?
[CICCIO] La presentazione è stato un’occasione come tantissime altre due che quest’anno per il quarantesimo anniversario della donazione del monastero dal Comune di Catania all’università e abbiamo fatto diverse presentazioni libri sono state tutte molto affollate e degli ottimi momenti per ragionare sui temi che gli autori dei libri ospitati, proponevano. Kiwi è stato un fuori programma, una cosa un po’ improvvisata ma anche molto molto bella. Perché Kiwi è un prodotto collettivo che è nato a Rosarno, Calabria. La Rosarno famosa per la rivolta dei migranti che erano lì come schiavi nei campi agricoli e così via. Quella Rosarno, un po’ forse anche in reazione a questi fatti molto drammatici, e pensando di raccontare una Rosarno diversa da quella vista dalla coranca nera e giudiziaria, si è raccolto attorno un progetto di ricerca molto bello che iniziato da alcuni alcuni giovani ricercatori e alcuni giovani professionisti e ha scritto una storia Rosarno che è sostanzialmente una guida turistica di una città che possiamo dirlo non ha praticamente nulla di turistico, cioè non è un attrattore, però è una città. Cioè è il ritrovo di una comunità che si riconosce in alcune figure, di personaggi, in alcuni luoghi. Guarda una cosa bellissima che io ho sottolineato durante la presentazione: a un certo punto sfogliando Kiwi, tu trovi le foto in bianco e nero di un cavalcavia in cemento armato, e ti chiedi: “Ma può essere che le guide turistiche mettono tra le loro pagine i gioielli di famiglia e questi mi mettono un cavalcavia?”. Perché loro hanno fatto questa raccolta di immaginu tra gli abitanti della città e hanno raccolto delle immagini su dei luoghi che sono significativi per le persone. Il sottocavalcaviaè significatvo perché ci sono degli artisti che stanno facendo dei murales e per loro è significativo. Magari non lo sarà per il turista tedesco.
[FABIO] Ciccio, introducendoti come ospite ho utilizzato una declinazione di patrimonio culturale che credo ti appartenga. Da una parte viene visto come bene comune e dall’altro come spazio accessibile di cittadinanza. È un po’ quello che fate voi con Officine culturali, no?
[CICCIO] Guarda che non ha nessuna immortale nessuno è infinito quindi noi prima o poi scompariremo anche noi. Ma se noi riuscissimo anche semplicemente a lasciare spero in buona parte delle persone che collabora con noi un livello maggiore di consapevolezza di quello che rappresenta il patrimonio in termini storici ed educativi. Ma sopratutto come luogo di cittadinanza, dove coltivare relazioni sociali, noi ci riterremmo soddisfatti del nostro lavoro. E ci riterremmo capaci di dire: abbiamo vinto! Il patrimonio culturale è principalmente quello pubblico è anche se la vogliamo mettere sul piano economico anche il risultato del sostegno della comunità. Il costo di gestione di un posto come il Monastero dei Benedettini è elevato: è un edificio fragile per la sua storia e nella sua parte più significativa. Sono luoghi che hanno bisogno di denaro per essere mantenuti ma nello stesso tempo restituiscono alle comunità moltissimo non soltanto come un tetto sotto cui stare nella fattispecie l’università è un’istituzione cognitiva in cui si prepara si lavora si contribuisce a lavorare al futuro dei ragazzi. Ma poi sono dei luoghi dove avvengono cose qui la gente si fidanza ci si lascia lo prepara le riunioni del collettivo della scuola di fronte perché vengono qui dentro a farle, si gioca a carte nei giaridni si litiga perché la si pensa diversamente però sono delle piazze non sono soltanto dei mausolei, dove si entra in silenzio e devi rispettare un silenzio. E non si capisce neanche perché. Magari in biblioteca lo capisci ma sono luoghi dove avvengono delle reazioni come chimiche ma invece sociali. Questa cosa di vede benissimo con i bambini. Qui dentro facciamo fare loro i percorsi ludico-didattici. I bambini devono giocare perché è la loro lingua. Così imparano a stare insieme. Questi bambini tornano portano i loro genitori qui e questa è una grande vittoria. Perché significa che questi bambini sono diventati senza volerlo senza saperlo piccoli cittadini consapevoli che hanno acquisito consapevolezza di un bene comune.
[FABIO] In questo senso mi viene da citare Emmanuele Curti – che al momento sta lavorando per Matera 2019 – che sull’ebook artlab 16 scrive “se non capiamo che lo spazio assume senso solo se attraversato da processi dinamici, oltre lo storicismo, rimaniamo fermi nella conservazione, chiusi dentro le nostre stesse vetrine che ci siamo creati”.
[CICCIO] Allora sono d’accordo, poi Emmanuele è un grande se ci sta ascoltando anche in differita o in diretta non lo so, è un grandissimo e ha tutto il mio affetto. È interessante che il concetto di Heritage noi lo traduciamo in patrimonio. In realtà la traduzione migliore sarebbe eredità. Il patrimonio è una cosa possiedi qui e ora, l’eredità è una cosa invece stata data e soprattutto di cui ti devi curare. La tutela e la conservazione sono due aspetti molto importanti perché è la salute con cui noi trasferiamo questo patrimonio. Però, Emmanuele ha ragionissima, però c’è un problema. Noi non possiamo fare in modo che la tutela diventi ostativa delle relazioni sociali e del contesto sociale in cui si trova il patrimonio. Cosa voglio dire? Attenzione non sto facendo un preludio per poi portare verso il luogo del tutto e le location per Squadra Antimafia o per dei matrimoni sempre comunque. Dico soltanto però che negare che all’interno dei luoghi della cultura ci siano possono essere solo relazioni sociali, oppure per essere anche più chiaro, che possono essere dei luoghi all’interno del quale il contenuto, cioè il patrimonio di cui questi luoghi sono portatori attivi di nuove relazioni sociali. Posso farti un esempio per capirci? Grazie a una collaborazione con alcuni operatori non vedenti e la città di Catania, noi abbiamo pensato a un percorso al buio per persone vedenti, si chiama vietato non toccare anzi il percorso si chiama monastero oscuro. In questo percorso operatori non vedenti conducono dei gruppi organizzati di persone non vedenti bendate. É una trasformazione dei parametri completamente: cioè io sono non vedente, quindi un normodotato, metto le mie due ore davanti a me, nelle mani di una persona non vedente che mi conduce. Questo è un principio molto forte di integrazione. Molti musei italiani lo stanno facendo ad esempio con le persone che provengono da altri paesi con migranti. I musei diventano i luoghi di integrazione sociale, i musei diventano i luoghi dove le persone affette da parkinson possono tentare nuove sperimentazioni artistiche e quindi anche un nuovo modo di vivere il benessere, che è una cosa che spesso i musei riescono a condurre. Queste sono relazioni sociali. Tutte queste cose prevedono che luoghi si utilizzino pur rispettandone la natura di luoghi fragili, delicati e che noi dobbiamo consegnare ad altri.
[FABIO] Veniamo poi alla vera nota dolente per chi fa cultura in Italia. La sostenibilità: come si mantiene tutto ciò?
[CICCIO] Posto che noi non prendiamo finanziamenti pubblici se non su progetti speciali che presentiamo per alcuni bandi ministeriali o altro, ma stiamo parlando comunque di roba che incide tra il 7 e il 10 % del nostro budget operativo. Quindi l’università per me non è un erogatore di denaro è il partner con cui svolgiamo le attività perché il luogo in cui lavoriamo prevalentemente è universitario. Anzi, noi normalmente versiamo una parte delle Entrate dell’Università di Catania per ammortizzare i costi che l’università sostiene per le nostre attività. Da dove vengono i soldi? Noi abbiamo considera, fatto 100 i nostri costi tra i quali c’è anche il personale che opera e ci sono anche 10 soci che sono anche dipendenti. Noi riusciamo a coprire orientativamente il 30, 35% che dovremmo coprire per coprire il 100% del presente del lavoro dei nostri soci e così via. Tutto il resto come in una ricetta ce la mettono i nostri soci. Cioè è tutto lavoro benevolo, perché sai che c’è questa definizione, come dire questo neologismo per certi versi, questo lavoro benevolo che sostanzialmente è lavoro non retribuito da parte di tutti i soci, me compreso, che decidono di coprire comunque tutti i servizi che sono necessari, pur non essendo pienamente retribuiti. Detto questo è anche vero che siamo riusciti a attivare questi 10 contratti collettivi nazionali federculture, che sono part-time e garantiscono un minimo la dignità per le persone che lavorano nel settore culturale.
[FABIO] Spesso il mondo della cultura viene confuso con quello del turismo – non so se tu sei d’accordo con me. Dico questo perché la prossima domanda è sul turismo. Dal rapporto SVIMEZ 2016 risulta che tutto il Sud Italia attrae la metà dei turisti che attrae il Veneto. Non credi sia paradossale?
[CICCIO] Mi piace che tu abbia fatto questa premessa. Nel senso che io ti dico che per me il settore della cultura asserisce innanzitutto e prevalentemente al settore dell’educazione e della formazione. Se devo collegarlo un altro settore, lo collego a quel settore li. Il patrimonio culturale ma anche la produzione culturale innanzitutto è una questione di formazione delle nostre comunità. Poi indubbiamente una componente minoritaria del settore turistico, anche se su questo c’è un dibattito. Ma ti posso dire che in Sicilia nel 2011 in un rapporto di un’agenzia collegata a Intesa Sanpaolo dava al 25% il turismo culturale nel totale delle motivazioni per cui i turisti raggiungevano la Sicilia. Anche se era in crescita si parla di un 40% in totale su tutto il territorio italiano e però è una componente. Il fatto che tutto il Sud italia, sia meno attrattivo, quindi non per motivi culturali ma per motivi turistici, che sono due cose differenti, è una questione su cui riflettere. Certo, il dato è pesante, certamente. Ma attenzione alla misurazione delle performance solo su dati quantitativi. Stiamo parlando di territori differenti, non è detto che tutti abbiano vocazione turistica. Sto dicendo una cosa che dovrei spiegare meglio. Alcuni territori che sono invece ad alta vocazione turistica misurata sulla base della permanenza turistica nei siti. Sono in serio pericolo: Venezia insieme a Firenze è stata messa sotto osservazione dall’UNESCO perché il carico su Venezia è eccessivo. Quindi certo che il Veneto fa dei numeri grossi, li farà perché c’è Venezia, ma l’UNESCO ha dei dubbi su questo, perché Venezia se ne sta calando. Uno dei motivi dello sprofondamento di Venezia non sono i turisti, ma l’uso di suolo, l’uso intensivo delle sue risorse.
[FABIO] E come si può risolvere?
[CICCIO] C’è un documento sul turismo sostenibile, la carta di Lanzarote. È un documento molto importante perché già nel 1985 si ragionava sul rapporto di sostenibilità tra i movimenti turistici e le comunità di riferimento dei luoghi di destinazione. Esistono degli equilibri, come negli altri indici di sostenibilità, dei processi attivabili per fare in modo che questi equilibri non siano a sfavore né dell’uno né dell’altro settore. Questi equilibri si possono creare, servono delle politiche turistiche che hanno come logica la sostenibilità e non della rapina e del consumo selvaggio di economia e di luoghi
[FABIO] Grazie mille per essere stato con noi.
[CICCIO] Grazie a te, grazie a voi.
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