Pomodoro a filiera partecipata, è da questa la definizione che parte questo podcast di Start Me Up che parla di Funky Tomato. Il progetto, nato in Basilicata, dà una risposta concreta – e se vogliamo innovativa – al problema del caporalato e dello sfruttamento dei braccianti nei terreni di pomodoro del Sud Italia. Quando si acquistano le conserve Funky Tomato si investe anche in cultura. Una cultura del lavoro sano, rispettoso dei diritti dei lavoratori, degli acquirenti e della natura. Un progetto che si sta espandendo anche nelle altre regioni del Sud Italia, raccontato ai nostri microfoni da Paolo Russo e Guido De Togni.
Perché ascoltare questo podcast?
- Funky Tomato vuole essere un modello per quelle aziende – oggi in crisi – che commerciano prodotti che hanno, in un certo senso, un legame con prodotti legati alla tradizione culturale di un paese.
Per scoprire la piaga del caporalato e come una risposta che metta al centro il benessere dei lavori e la cultura possa portare reale sviluppo.
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L’immagine di copertina è stata presa qui.
Link utili
- Il sito ufficiale di Funky Tomato: funkytomato.it
- Podcast di Start Me Up dedicato al WRD ’16: Speciale World Radio Day
Leggi la trascrizione del podcast
[FABIO] Da un paio d’anni a questa parte, si stanno accendendo i riflettori su quella che è la piaga dello sfruttamento dei braccianti nei campi del Sud Italia. Ci sono state molte inchieste in questo senso e ci sono realtà come Radio Ghetto di Foggia – di cui vi ho parlato durante il world radio day del 2016 – che denunciano questo fenomeno. Oggi parliamo di un altro gruppo di persone che ha deciso di combattere lo sfruttamento dei braccianti attraverso il lavoro e la cultura. Come? ce lo facciamo spiegare da Paolo Russo e Guido De Togni di Funky Tomato. Mi rivolgo all’inizio a Paolo, ciao!
[PAOLO] Ciao a tutti, grazie di questa possibilità. Mi chiamo Paolo Russo e sono uno dei fondatori di questo progetto che è nato nel 2015 a Venosa una cittadina della provincia di Potenza che nel suo Comune ebbe una di queste esperienze drammatiche come quelle che hai appena raccontato. Principalmente nella frazione di Boreano, dove fino all’anno scorso, perché poi è stato smantellato, era presente un ghetto abitativo di raccoglitori del pomodoro. Esattamente gli stessi raccoglitori di pomodoro che nella fase iniziale della stagione raccolgono a Foggia, poi si spostano nella parte conclusiva a Boreano che produce un pomodoro più tardivo. Quindi fino a ottobre copre l’intero percorso la raccolta del pomodoro.
[FABIO] Paolo, Come nasce Funky Tomato?
[PAOLO] Il nostro progetto è nato dalla fusione di due esperienze. Alcuni di noi venivano dalla rete Genuino Clandestino che è nata a Bologna, quindi principalmente agricoltori. Ed altri venivano dall’associazione Fuori dal ghetto, un’associazione di denuncia esattamente come quella che hai nominato precedentemente, Radio Ghetto, che era a Boreano. Abbiamo deciso di provare a dare una risposta alla dinamica dello sfruttamento del lavoro e dello sfruttamento della terra, cioè dell’agricoltura industriale mettendo in piedi una filiera che abbiamo definito filiera partecipata.
[FABIO] In cosa consiste la “filiera partecipata”?
[PAOLO] La filiera agroalimentare convenzionale prevede esclusivamente tre figure che sono i produttori di materia prima, i trasformatori e i distributori. Noi abbiamo provato a inserire all’interno della filiera, anche in termini legali, alcune figure che ritenevamo fondamentali. Come quella del bracciante, che non è più uno strumento della filiera ma una figura specifica; quello del consumatore, che entra nel contratto e quindi nella filiera come parte finanziatrice; e poi quella della cultura, ecco perché il nostro progetto si chiama funky tomato. [PAOLO] Quindi abbiamo istituito un contratto di rete che ha come scopo quello di mettere in piedi una conserva di trasformato di pomodoro ma che al suo interno prevede tutta un’altra serie di rapporti. Non solo quelli diciamo meramente di produzione, ma anche quelli di impatto sociale, come appunto di tenere la figura del bracciante una più di una figura a se’, quindi non strumento. E quindi di ragionare con loro su quale può essere il processo di lavoro diciamo più utile sia in termini di qualità del prodotto che anche di consapevolezza del lavoratore.
[FABIO] Paolo, Chi sono i vostri acquirenti?
[PAOLO] Siamo riusciti ad avere degli acquirenti di natura trasversale. Ovviamente quello che può ritenere più semplici sono quelli dei gruppi d’acquisto, cioè gli acquirenti delle economie solidali che hanno visto noi l’opportunità di poter dilazionare la propria economia in una produzione più etica. Ma in realtà poi i nostri acquirenti sono di tante tante forme sono privati cittadini che da soli decidono di comprare il pomodoro, ristorazioni che decidono di avere un prodotto di qualità nel loro paniere, micro distribuzioni come quelle del mercato equo e solidale, di filiere un po’ di qualità come possono essere di origine razziale dal mercato centrale o piccoli artigiani di qualità che inseriscono tra i loro prodotti anche un prodotto come il nostro, che aggiunge un valore. Che è quello della qualità del lavoro non solo della qualità delle produzioni.
[FABIO] Prima di affrontare il piano culturale e sociale del progetto Funky Tomato, qual è il prodotto che vendete?
[PAOLO] Non vendiamo pomodoro fresco ancora anche se quest’anno stiamo provando a aumentare il paniere. Ma principalmente il nostro, sono prodotti di conserva quindi non solo passata ma tutto pomodoro conservato, trasformato. Pelato, polpa, intero in salsa. Pomodori più particolari come il pomodoro giallo, pomodoro di altra forma come il Vernotico beneventano.
[FABIO] State ascoltando Start Me Up, al microfono c’è Fabio Bruno. Sto parlando con Paolo Russo di Funky Tomato un pomodoro di alta qualità prodotto e trasformato in aree ad alto sfruttamento della terra e della manodopera. Dopo aver spiegato per bene cosa è la filiera partecipata e il vostro prodotto, veniamo adesso a analizzare il progetto sul piano culturale. Paolo, perché Funky?
[PAOLO] Funky è il termine in cui i musicisti inglesi erano soliti appellare il suonare degli africani. Noi abbiamo pensato all’inizio di questo progetto che senza la cultura non fosse possibile mettere in piedi nessuna produzione, quindi abbiamo voluto rubare un termine ai musicisti per ragionare proprio sul senso di questo termine. Cioè il funk vuol dire “di cattivo odore, sgradevole” loro lo hanno fatto diventare un processo identitario che è diventato anzi il fenomeno culturale di contaminazione più interessante che c’è. Quindi noi con lo stesso ragionamento abbiamo voluto definire il nostro pomodoro: funk cioè di cattivo odore perché viene da questi meccanismi, ma pronto a una contaminazione quindi pronto a un percorso nuovo.
[FABIO] E tutto questo, cioè la produzione di passate di pomodoro, come si coniuga con la cultura?
[PAOLO] Dentro la filiera, dentro il nostro contratto di rete viene inserito proprio l’elemento cultura. Una parte del vasetto va a finanziare una produzione culturale che noi scegliamo annualmente. Può essere di varia natura: musicale, fotografica, di ricerca. In questo caso è cinematografica. Quindi sostanzialmente noi diciamo che per produrre una salsa bisogna investire anche della cultura. Non nella cultura su cui si specula, come gli OP o gli OCG, ma sulla cultura di contesto quindi la musica, la narrativa, la ricerca. E quindi sostanzialmente per comprare il nostro pomodoro sei costretto a sostenere un processo culturale.
[FABIO] Paolo, chi lavora per Funky Tomato?
[PAOLO] Noi ragioniamo sul non sfruttamento della terra e dei lavoratori, e non solo dei lavoratori. All’interno dei nostri processi ci sono processi di formazione che portano a un livello di qualità del lavoro superiore. Non reclutiamo le nostre persone, le troviamo nel nostro vivere, sono presenti nelle campagne, intorno ai contadini che producono il pomodoro all’interno della nostra filiera. Principalmente sono persone con cui abbiamo iniziato un percorso tre anni fa che ci presentano altre persone e così via via, un passaparola. non c’è un reclutamento, ma un’opportunità di contesto, il nostro obiettivo sarebbe solo quello di aumentare i numeri.
[FABIO] Ed è bello pensare che queste persone entrino a far parte di una comunità come quella di Funky Tomato, che punta a ridare dignità al lavoro. E a dirlo non sono io, ma un costituzionalista come Guido De Togni che lavora per Funky Tomato, dico bene Guido?
[GUIDO] Con Funky Tomato stiamo effettivamente proponendo un modello che riesca a ridare dignità al lavoro. E gli elementi significativi sono prima di tutto che è un lavoro – che è quello della coltivazione del pomodoro – che è alla base della cultura diciamo mediterranea italiana si può dire, comunque specialmente italiana. Ed è quindi un punto di partenza fondamentale per ritrovare anche un orgoglio che in questo paese rispetto alla propria cultura si sta perdendo. E però a fianco c’è un movimento culturale che comunica ciò che si sta facendo e lo accompagna, la creazione di questo modello di lavoro. In questo modo si riesce anche a rompere dei confini che invece in questo periodo ci pongono spesse volte magari con l’aiuto di un lavoro massmediatico però ci pongono sempre in conflitto, si sta creando un conflitto tra poveri. E invece all’interno di Funky Tomato riusciamo a fare l’opposto, cioè riusciamo a rompere i confini che ci vengono creati attorno e a ritrovarci come persone che vengono da paesi diversi di questo mondo e si stanno mettendo insieme per portare avanti un lavoro insieme.
[FABIO] Credi che questo modello possa fare scuola per altre aziende in altri ambiti e che stanno vivendo un momento di crisi?
[GUIDO] Parte dei miei studi mi hanno fatto capire soprattutto sulle istituzioni così detta dei commons, c’è un gran libro di Elinor Ostrom che ha vinto anche il premio Nobel nel 2009 che studiava questi modelli istituzionali. É il fatto che questi nuovi modelli di istituzione soprattutto legati alla tutela e alla promozione quindi, come dire, di risorse comuni che sono quindi la cultura che possono essere risorse come beni fondamentali come può essere l’acqua, il paesaggio. Sono modelli molto legati alla peculiarità culturale di quel territorio e per di più, come nel caso nostro della produzione di pomodoro, sono legati alla peculiarità della filiera del pomodoro, come puoi immaginare. Quindi io posso pensare che ci sono delle caratteristiche che istruiscono questo modello che possono essere sì quelle sì diciamo di proposte in altri ambiti.
[FABIO] Il tutto deve naturalmente coniugarsi a una sostenibilità economica. Guido, mi dicevi fuori onda che al momento c’è allo studio la creazione di una fondazione per far questo. Cosa controllerà in quanto strumento finanziario di tutto questo sistema?
[GUIDO] La qualità del progetto stesso e eventualmente la produzione di altri progetti che abbiano le medesime caratteristiche e qualità. Effettivamente il problema per il lavoro attuale, e qua concludo, è proprio la necessità per la grandi masse di lavoratori di oggi di doversi affidare a reperire risorse da chi ce le ha effettivamente e da chi ne ha disponibilità e che te le fa pagare molto molto care. Oggi per tutelare invece un processo di questa qualità sia nel lavoro sia nel prodotto e quindi non sfruttare né il lavoro né la terra, bisogna raggiungere quanto prima diciamo un’autonomia livello di sostegno finanziario per non essere ricattabile.
[FABIO] Torniamo a parlare con Paolo, perché vedo sul sito che Funky Tomato è una comunità composta anche da tanti enti…
[PAOLO] Stiamo anche molto crescendo. La nostra idea è quella di essere quanto più trasversali possibili. Quindi tu vedrai probabilmente nell’arco di poco che queste figure aumenteranno probabilmente sempre di più e questo è il senso di quello che ti dicevo prima: essere aperti a ogni forma. Il nostro progetto è di natura ideologica trasversale, sia ideologica che culturale, quindi questo ci permette di avere una rete così forte di promotori.
[FABIO] E Paolo mi dicevi che dopo la Basilicata – dove siete nati – vi allargherete anche in altri territori sempre nel Sud Italia…
[PAOLO] L’Italia produce 40 milioni di tonnellate di pomodoro l’anno, è il 2% del Pil nazionale. Noi produrremmo forse 6,7 ettari, forse 10 ettari quest’anno di pomodoro che ci porteranno a un fatturato di un milione di euro. Ma se tu lo proporzioni alla quantità di terreno coltivato in Italia, non stiamo conquistando un bel niente. Per fortuna stiamo crescendo e purtroppo per noi questo fenomeno è un fenomeno trasversale che non può essere un percorso territorialista, esclusivo della Basilicata. E quindi questo ci ha dato l’opportunità di essere su tre territori diversi quindi anche di poter raccontare un agricoltura così difforme come quella italiana. Perché quello che avviene in Basilicata non avviene in Sicilia, quello che avviene in Sicilia non avviene in Campania e così via. Ma probabilmente anche tra comune e comune è molto difforme quindi se vogliamo avere l’opportunità di formare queste persone a un altro tipo di agricoltura, noi dobbiamo inevitabilmente essere presenti da più parti.
[FABIO] Paolo, puoi raccontarci un aneddoto che ti ha suggerito che la strada che hai intrapreso con Funky Tomato era quella giusta?
[PAOLO] Veramente te ne potrei raccontare tanti, penso che ogni giorno questa cosa ci viene confermata. Posso dirti che ieri ci hanno invitato a fare una partita di calcio con una squadra di Napoli che si chiama l’altro Napoli, ci sarà un concerto. Posso dirti che il 6 maggio siamo stati scelti da Sky arte come progetto culturale e per essere dei produttori di pomodoro è quanto di rivoluzionario, stavamo accanto a Vinicio Capossela. Una produzione di pomodoro che penso sia il trasformato più rappresentativo del Sud. Non so se questo può essere sufficiente per confermarti che siamo sulla strada giusta. Potrei dirti quando ci hanno chiamato e ci hanno fatto ordini impressionanti che noi non ci immaginavamo, probabilmente quella nella strada giusta. Può essere quando vediamo che con Ibra c’è qualcosa di più, rispetto solo a una retribuzione economica, c’è da essere orgogliosi. Prova a andare in un ghetto con la macchina fotografica vedi se ne esci fuori da quello spazio. Noi siamo entrati con le telecamere facendo un concerto a Rignano con Baba Sissoko e tutti si volevano far riprendere. Questo vuol dire che noi siamo stati in grado di farli sentire orgogliosi non al centro del vittimismo europeo che stiamo cercando di vendere ultimamente. E questo è probabilmente il motivo più forte che ci fa dire che siamo sulla strada giusta. Vuol dire che questa gente è fica e non che questa gente va aiutata.
[FABIO] Sono totalmente d’accordo. Paolo, come si fa a acquistare il funky tomato?
[PAOLO] Siamo un progetto a filiera partecipata. Questo vuol dire che una parte del nostro pomodoro viene venduto in pre-acquisto, cioè non c’è un capitale che finanzia la produzione ma sono i consumatori attraverso un prefinanziamento a fare quest’operazione. La campagna di pre-acquisto parte fra una settimana, lunedì prossimo, e si esaurirò nella parte conclusiva, a agosto. Se siete intelligenti lo fate durante il pre-acquisto, perché negli ultimi due anni non siamo mai riusciti a superare quella fase, il nostro prodotto si è esaurito prima. Nel caso contrario aspettate che finisce la fase di pre-acquisto, comprerete il pomodoro al prezzo diciamo leggermente più alto perché vanno considerati tutti i costi che non riusciamo a decurtare con un acquisto. Dal primo giugno, esattamente, questa cosa, attraverso il nostro sito. In post produzione da agosto in poi nelle botteghe solidali, nelle filiere etiche, nelle aree di qualità che hanno deciso di sostenerci che quest’anno saranno veramente tantissimo.
[FABIO] Bene grazie mille, Paolo.
[PAOLO] Di niente. Vi abbraccio tutti e grazie dell’intervista.
[FABIO] Loro erano Paolo Russo e Guido De Togni di Funky Tomato. Trovi la trascrizione del podcast e i link a cui abbiamo fatto riferimento su radiostartmeup.it.
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