Pubblichiamo con piacere l’articolo scritto da Elena Cicardo sul ciclo “Fare Startup nel settore salute”, che avevamo annunciato qui.
Come fa un’idea nata in un laboratorio di ricerca a diventare una startup di successo in ambito internazionale? Quali sono gli errori assolutamente da evitare? E quali gli elementi chiave che permettono di attrarre gli investitori?
Chiunque stia pensando di mettere in piedi un progetto imprenditoriale vorrebbe avere delle dritte, soprattutto se il settore che si vuole innovare è particolarmente complesso come quello dell’Healthcare che presenta grosse barriere all’entrata, un time to market molto lungo e iter regolamentari complessi, per esempio per ottenere le certificazioni dei dispositivi medici.
Per questo il Consorzio ARCA, l’Incubatore d’Imprese dell’Università degli Studi di Palermo, insieme a EIT Health, la rete dell’Istituto Europeo di Innovazione e Tecnologia (EIT) dedicata al settore sanitario, ha organizzato un ciclo di tre incontri online dal titolo “Fare startup nel settore salute: buone pratiche e storie di successo”, moderati da Fabio Bruno, conduttore del podcast Start Me Up, in occasione dei quali è stato possibile dialogare direttamente con alcuni imprenditori che ce l’hanno fatta, così da conoscere le difficoltà che hanno dovuto affrontare e le strategie individuate per superarle.
Le tre storie di successo di startup nel settore salute
Il primo appuntamento ha avuto come protagonista Ivan Porro che con la sua startup SurgiQ ha dato vita a una piattaforma software basata sull’intelligenza artificiale che supporta gli ospedali pubblici e privati con l’ottimizzazione delle risorse e l’automazione della programmazione dei trattamenti chirurgici e fisioterapici. SurgiQ ha ricevuto già 4 round di investimenti. L’ultimo, da 410mila euro, è dell’anno scorso in piena pandemia e ha dentro Gruppo Cassa Depositi e Prestiti venture capital.
È stata poi la volta del giovane imprenditore Alessandro Monterosso, uno dei 100 top manager italiani per Forbes. La sua startup PatchAI si propone di migliorare la ricerca clinica, e adesso anche la pratica clinica standard, attraverso un assistente virtuale empatico che coinvolge il paziente e raccoglie i dati conversazionali in tempo reale. Nel 2020 PatchAI si è aggiudicata la competizione EIT Health “Catapult”, a gennaio del 2021 ha chiuso un round da 1,7 milioni di euro e a novembre è stata acquisita da Alira Health, colosso americano della sanità.
La terza storia di successo è stata quella della startup palermitana Restorative Neurotechnologies, raccontata dalla sua co-founder Agnese Di Garbo. Il suo team, guidato da Massimiliano Oliveri, medico neurologo e professore ordinario di Neuroscienze Cognitive, dopo 20 anni di ricerca accademica ha progettato le “Mindlenses”, delle lenti prismatiche affiancate da un’app di serious games che stimolano le funzioni cognitive, l’attenzione, la memoria o il linguaggio. Lo scorso anno sono state giudicate come lo strumento più innovativo e completo nel panorama europeo in ambito medicale e hanno ricevuto un investimento da un milione di euro.
Gli elementi chiave di una startup di successo
«Con questo ciclo di incontri abbiamo voluto raccontare storie di successo in modo onesto, senza nascondere le criticità – Spiega Monica Guizzardi, responsabile comunicazione del Consorzio Arca – Per una startup del settore della salute, dal biomedicale al farmaceutico ai servizi alla persona, il percorso che dall’intuizione porta all’immissione sul mercato del prodotto validato è più lungo e tortuoso rispetto ad altri settori, perché spesso si tratta di idee che valorizzano risultati che vengono dalla ricerca, ci sono di mezzo brevetti, servono certificazioni che sono molto complesse da ottenere. Per questo ascoltare le difficoltà incontrate, gli errori commessi e le lezioni imparate da chi ce l’ha fatta crediamo sia importantissimo e possa servire da ispirazione a chi vuole mettere in piedi una startup innovativa».
Dalle storie di successo infatti sono emerse delle costanti, degli elementi chiave ricorrenti utili per chi vuole fare impresa.
Il team è l’elemento più importante. E chi investe ne tiene conto ancor di più dell’idea stessa. Se il team funziona, è eterogeneo e unito può anche aver sbagliato completamente la proposta iniziale di prodotto o segmento di mercato. Guidato arriverà comunque a ottimi risultati.
Gli investitori non sono solo denaro. Vanno scelti bene, non solo per la loro capacità economica ma anche per i loro valori, per il network che hanno alle spalle e quindi per le relazioni che sono in grado di attivare.
Ascoltare clienti, investitori e mercato. Non si deve pensare solo alla propria tecnologia e a come questa migliorerà il mondo ma stare in ascolto, perché altrimenti si rischia di progettare una soluzione perfetta per un problema che non esiste.
Tenere salde la vision e la mission aziendale. A volte può essere necessario orientarsi meglio rispetto ai bisogni del mercato ma non si deve perdere l’obiettivo iniziale. Significa, come il pivot nel basket, fare sì uno spostamento ma mantenendo uno dei due piedi ben saldo a terra.
Non sottovalutare la comunicazione. È importante comunicare in modo semplice ed efficace con contenuti specifici e molto targhettizzati a seconda degli interlocutori.
Imparare a delegare. Soprattutto nel caso di spin-off universitari, con team composti da ricercatori, il processo di delega sugli aspetti di business può essere fondamentale per crescere.
Fare parte di una rete. Entrare nell’ecosistema giusto, fatto di eventi, competition, momenti di formazione, è vitale per una startup, per raggiungere delle milestones nel proprio percorso di crescita internazionale.
Accedere a un network come EIT Health, che non a caso è stato fondamentale per il successo delle tre startup raccontate, significa poter dialogare con persone che conoscono esattamente le criticità del settore di riferimento, e beneficiare di supporto e servizi ad alto valore aggiunto che permettono all’innovazione di fiorire.