La capacità di abitare, è secondo una citazione attribuita a Martin Heidegger, il requisito indispensabile per costruire. L’ospite di questo podcast non cita direttamente il filosofo tedesco, ma l’assunto di Heidegger è perfetto per introdurre il tema di questa puntata di Start Me Up. Il costruire. Un costruire visto però non come azione da demandare ad altri, ma come qualcosa da fare in prima persona, cioè l’autocostruzione.
E chi può spiegare meglio questi concetti se non Marco Terranova, architetto, artigiano e facilitatore di cantieri collettivi?
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L’autocostruzione come tema “politico”.
La capacità di abitare, mi dice Marco, è qualcosa che come società abbiamo dimenticato quando abbiamo iniziato a demandare ad altre azioni come il costruire la propria casa in autonomia, coltivare il proprio orto per avere il cibo. Questo ragionamento sottolinea l’aspetto “politico” dell’autocostruzione. Un modo che hanno i gruppi di persone (o in generale la società) per stabilire il proprio destino. Durante l’intervista, Marco – che si occupa di cantieri collettivi e di autocostruzione ormai da anni – evidenzia gli aspetti peculiari di questa pratica che si basa sull’esperienza, sul mettersi in gioco in prima persona e che ha in sé una dose di disobbedienza civile.
Chi è Marco Terranova
Marco Terranova è un architetto ed artigiano del legno, che negli anni ha prodotto e sviluppato un’attività professionale all’insegna della collaborazione e del lavoro di squadra, della sostenibilità e dei materiali naturali.
Il suo progetto, Senzastudio, evoca un’identità un poco nomade ma anche un’estrema adattabilità a contesti ed opportunità. Il fiore di larice del logo è simbolo di una storia personale vissuta tra il respiro calmo delle foreste alpine e l’orizzonte blu del Mediterraneo.
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c’è stato un momento in cui l’auto costruzione era legata al risparmio economico. Molti si sono creati anche reti, anche reti molto belle in cui ci si mette tutti insieme. Si crea un gruppo per cui dice io vorrei una casa ha fatto in un certo modo poche risorse economiche. Me la faccio da me no, faccio da me insieme ad altri ci mettiamo tutti insieme un po’ come era in modo tradizionale. Invece per me è una roba politica. Perché? Perché autocostruzione ha a che fare con l’autodeterminazione. Si tratta di riappropriarsi di quello che io chiamo, della capacità di abitare.
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La capacità di abitare è, secondo una citazione attribuita a Martin Heidegger, il requisito indispensabile per costruire l’ospite di questo podcast non cita direttamente il filosofo tedesco, ma l’assunto di Heidecker è perfetto per introdurre il tema di questa puntata di starmi a il costruire un costruire visto però non come azione da demandare ad altri, ma come qualcosa da fare in prima persona. E per questo in questo podcast parleremo di autocostruzione e per parlarne non potevo trovare ospite migliore che il
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mio nome e cognome che per fortuna lui risponde all’anagrafe Marco Terranova La mia è un po’, una professione in evoluzione, una figura ibrida per certo nato come architetto. Poi è diventato anche falegname e che poi poi non ha fatto altro, secondo me, che può tentare e portare sempre più dentro anche tutta una serie di passioni, dalla passione per l’ambiente al al Mediterraneo a lavorare con le persone. Quindi in questo momento le cose che potrei dire che supporto processi di trasformazione dello spazio collettivo, aiuto le persone a passare dal progetto alla realizzazione concreta. In certi casi mi trovo davvero a essere più un facilitatore che è un architetto classico, confeziona
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contatto Marco un pomeriggio di giugno particolarmente caldo, infatti abbiamo le finestre aperte, la stanza e soleggiata e i rumori della strada fanno da sfondo alla nostra chiacchierata che parte ovviamente dal concetto che Marco ha di autocostruzione
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per me è una roba politica. Perché? Perché autocostruzione ha a che fare con l’autodeterminazione? Cioè, abbiamo una scuola che ha un cortile, che è un disastro. Il processo normale dovrebbe essere che io aspetto. Chiamo, convoco il comune, Lady no l’altro cos’è che noi, i genitori così metto, inserisci noi questo cortile ce lo trasformiamo noi. E allora ci mettiamo insieme. Attiviamo un processo in cui si comincia a ragionare, si esplora il cortile, si capisce com’è come potrebbe essere. Si fa un progetto, si immagina e a un certo punto si comincia a fare la trasformazione. Si tratta di riappropriarsi di quello che io chiamo, della capacità di abitare.
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La capacità di abitare mi dice Marco è qualcosa che come società abbiamo dimenticato quando abbiamo iniziato a demandare ad altri azioni come il costruire la propria casa in autonomia. Può coltivare il proprio orto per avere il cibo, se ci pensi. Questo ragionamento rende ancora più chiara l’affermazione di Edgar che ho citato a inizio puntata. Marco intuisce la potenza dell’auto costruzione lavorando sul campo
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è stata una scoperta graduale, nel senso che da una parte durante i cantieri, mi sono sempre di più appassionato al rapporto. Gli artigiani cioè chi alle figure che poi dentro il cantiere portano il loro sapere materiale lavorando in cantieri, diciamo locali. Questa cosa è più semplice perché tu hai contatto con delle figure del territorio e quindi con le loro storie, con un rapporto con la materia, eccetera eccetera. Sa cosa mi affascina tantissimo. Poi a un certo punto c’ è proprio una necessità di accorciare le distanze. Tu credi soprattutto per chi vuole che le cose siano realizzate bene con cura, perché a volte una forte distanza tra il progettare e costruire, per cui in mezzo a queste due robe, cioè a parte una burocrazia immensa, ma poi il fatto di riuscire a far fare le cose come tu vuoi che non è soltanto il dettaglio, è proprio anche il metterci una cura e attenzione che derivano da un bisogno personale. Se vuoi, allora ho cominciato piano piano ha proprio coltivando gli artigiani a fare io alcune delle cose. Mi rendo conto detto Vabbè, questo non lo vuoi fare in questo modo, ma sai che fa? Provo a farlo io.
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In più in quel periodo Marco partecipa ad un progetto inserito in una collaborazione internazionale che si svolge in Burkina Faso
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e lì ho vissuto questa cosa la prima vera esperienza di autocostruzione, cioè del fatto che ci fosse un cantiere in cui tutti insieme eravamo lì e si costruiva tutti insieme, molto orizzontale, cioè ieri li sia a guidare nel far capire come lavorare Mary Li’ a lavorare insieme agli altri, no? E la cosa potentissima è che era italo burkinabé, cioè no, era una cosa imposta. Era una roba nata proprio tutti insieme. E quando siamo andati via abbiamo costruito insieme. Li ho capito anche la potenza di questa cosa che non è soltanto il fatto che tu fai le cose. È quello che succede durante perché nel periodo in cui si fa questa cosa, ovvero nel cantiere, succedono un sacco di cose
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sul cantiere, il ruolo che puo’ assumere. Ci torniamo nella seconda parte di questo podcast. Adesso mi interessa di piu’ il ruolo che Marco si ritaglia all’interno di esso.
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Cioè, io non vado lì e dico ho un mio progetto e te lo calo là dentro. No, io dico li e dico di me, ci mettiamo tutti insieme, ragioniamo, tiriamo fuori quale deve essere la natura di questo spazio e io metto in grado alle persone di costruire questo spazio.
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Quello che mi ha raccontato Marco fino a qui fa capire cosa realmente sia l’auto costruzione anche a chi, come me, non ha mai messo piede in un cantiere, neanche una tradizionale c’è. Comunque un aspetto che non credo possa essere sottovalutato è legale. Questa cosa è possibile,
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quindi non so se ti dovrei rispondere o no. Ok, no, no, io ti rispondo perché rientra un’altra questione per me molto politica, che è quello di è decidere. A un certo punto io voglio fare le cose e le faccio senza aspettare, anche correndo dei dei rischi, se si vuole, nel senso che ci muoviamo ai limiti della legalità, perché qui in Italia si parla moltissimo di autodeterminazione, autocostruzione, eccetera. Ma in realtà è quasi impraticabile perché i limiti burocratici su queste cose sono immensi. Io sono invece di un’altra opinione. Se c’ è un gruppo che è consapevole di quello che sta facendo chiaramente nel rispetto di tutte le leggi del mondo. Io sto dicendo usa fare abusivismo. Però è un gruppo consapevole dice siamo tutti d’accordo, per noi tutti è importante che i nostri figli vivano in uno spazio, sia dignitoso, l’unico modo è sistemarlo noi lo facciamo, siamo d’accordo tutti, quindi la responsabilità è condivisa su questa cosa qui allora lo puoi fare altrimenti? Se tu invece entri in questo processo rischiando solo tu, per cui tu alla fine venne uno, dice no, guarda però questa cosa che stai facendo in realtà avrebbe avuto bisogno c’ è qui un questa cosa manca invece di due centimetri deve essere un centimetro, cioè la certificazione del chiodo. Capito? Noi siamo in un paese che se tu vuoi creare problemi anche nella cosa piu’ stupida lo puoi fare per quello dico che ti muovi sempre ai confini della della legalità. Però secondo me è importante farlo proprio per mettere in evidenza che questa cosa in un momento su tutte le grandi difficoltà economica in cui a volte le cose davvero non le fai perché non te lo puoi permettere, mentre il fare il farlo insieme ad altri o farlo tu ti consente di farlo.
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Ok, no, no, è chiaro questo punto di vista però hai preso giusto il punto perché l’altra parte della medaglia è l’abusivismo perché comunque io mi faccio quello che per esempio nel caso della casa io mi faccio quello che voglio e quindi mi costruisco la casa da me, magari appunto senza rispettare regole e soprattutto danneggiando gli altri. Però insomma no,
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non stiamo parlando esattamente perché come se avrai capito uno degli sfondi di questa cosa è il carattere anche. Infatti parliamo di cantiere collettivo sociale di questa cosa qua
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e da persona che non ha mai messo piede in un cantiere. Davo per scontato che anche nel caso dell’ autocostruzione fosse indispensabile la figura del capo progetto. Invece mi sbagliavo in questi cantieri tutto si regge sulla cosiddetta intelligenza collettiva, nel
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senso fare in modo proprio che le teste siano tante, non ci sia una testa. Questo lavoro che all’inizio sembra impossibile lo considera che a me capita ormai sempre che all’interno dei cantieri arrivano delle persone, mi chiedono ma non c’, è un progetto. Io dico no, non è possibile. Vabbé dico lo vedremo.
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E naturalmente mi dice Marco ogni volta riesce a smentire questo scetticismo, uno stratagemma che lui utilizza per velocizzare i processi decisionali e lavorare sull’intensità.
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Tu devi ridurre la quantità di tempo che hai per speculare. Tu lavori con questa cosa? Io io a volte faccio gli esercizi di progettazione di dieci secondi, quindici secondi, un minuto. In questo modo tu non solo sei costretto a lavorare lavoro tirando fuori l’idea che avevi la suggestione, ma devi lavorare con gli altri per forza e spesso devi lavorare sull’idea che ha proposto che hanno proposto gli altri. Le cose poi girano, si mescolano, si lavora per i progetti, si sviluppano in gruppi diversi e piano piano si crea un’armonia tra le persone. Le persone cominciano lavorare tutti insieme. Ora questa roba se fosse speculazione teorica uno dice ma che sta dicendo? Io invece ho le prove la il mio orgoglio adesso è che quando parlo di queste cose io ne parlo perché poi ci sono le realizzazioni che dicono e le persone che erano lì che possono testimoniare questa cosa. Questo per me adesso è un motivo anche di di felicità, perché quando parlo di queste cose sto parlando ne sto parlando a partire dall’esperienza, non da una da una supposizione teorica.
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Ci tengo a chiarire che se Marco sottolinea il fatto che lui mi stia raccontando tutto questo perché lo ha vissuto, non perché io sia scettico o non voglia credere a ciò che mi dice, anzi e che l’esperienza ha un ruolo decisivo nella autocostruzione
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se tu vuoi attivare un cantiere autocostruzione, innanzitutto devi essere tu in grado. Io dico sempre se vuoi far fare una casa in costruzione devi essere il primo a essere in grado di farlo. E significa sapere controllare i processi e significa esperienza. Significa davvero tanta, tanta esperienza. E tu maturi tranquillamente a piano piano nel tempo.
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Torniamo al cantiere, perché quando si tratta di situazioni collettive come quelle che abbiamo appena descritto, questo luogo diventa contenitore di Qualcos’ Ltro.
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Il cantiere è un momento in cui tu costruisci relazioni tra le persone. Relazioni di fiducia. A volte costruisci comunità. Se piace questa parola, cosa fai? Formazione? No, cioè puoi inserire dentro anche saperi, poi può succedere di tutto. Puoi fare la festa. Hill Intergenerazionali, Tac é un altro dei temi
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fondamentali. Un
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tempo queste cose c’ erano cera dal bar alla piazza alla corte. Esistevano dei luoghi in cui tu, incrociati le generazioni, questa cosa è venuta meno. Poi la pandemia non ne parliamo in cui tutti si sono chiusi in casa. Quindi il cantiere diventa un’occasione anche per questa, perché dentro puoi avere tutti.
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E quando Marco dice tutti intende tutti, non tutti architetti,
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perché cioè poi spesso questa fissazione nell’auto costruzione devono entrare gli architetti. Invece la cosa più bella, i processi più che funziona meglio e quando le persone sono tutte diverse, conformazioni anche molto diverse, perché spesso la formazione dell’architetto e la testa è troppo strutturata, quindi non riesce a vedere alcune cose, mentre magari la vede l’altro e l’architetto la lo aiuta e lo trasforma in un elemento di spazio no?
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E in questo tutti sono inclusi anche i bambini, ovviamente.
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Attenzione il bambino e il cantiere per me non è un soggetto a cui io devo, a cui devo fare da padre tra virgolette. Per me il bambino allo stesso. Un bambino di sette anni lavora come una persona inventata. Io gli do la stessa responsabilità, identica anche nella progettazione. Cioè si tratta di ascoltare. Ci sono modi diversi di esprimersi, di ascoltare e poi portare questo ascolto a diventare qualcosa, magari di concreto. Però io ti responsabile, io ti faccio usare il bambino di sette anni userà lo stesso habitat ore che uso io
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sull’inclusione dei bambini nei cantieri. Poi Marco ha una visione che io trovo molto interessante.
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Il bambino è cittadino, quindi io il bambino non lo sto trattando. Ccc
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cioè un atteggiamento particolarmente paternalistico e sdolcinato
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tra l’altro, il te’, perché abbiamo parlato anche di responsabilizzazione, perché per me il bambino si può anche far male. Il Papa questo qui si aprirebbe tutto un altro tema molto interessante il fatto di costruire anche la nostra persona a partire dall’esperienza e quindi anche dal farsi male, anche dall’affrontare i pericoli di averli superati, eccetera eccetera. Quindi il generare una cosa iper proprio è inutile che alcuni strumenti è inutile che faccia lo strumento assolutamente per bene. No, io ti faccio usare una serie, solo dirlo. Sono partito dal fatto. Io sono cresciuto così. Io avevo una madre alpina per cui da noi, da piccoli, il legno era la nostra materia. Noi tagliamo la legna per la stufa, ma da quando eravamo piccoli, piccoli e lo tagliamo delle seghe normali. Però se tu sai che ti puoi tagliare tu no. Costruisci il tuo modo di rapportarti con quello strumento da subito che può essere anche ti farai anche male. Una volta ti capiterà che il tuo dito Ann K. Era in un dente. La sega che ti uscirà del sangue. Va bene. Hai capito che devi stare attento? No?
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Questa visione del cantiere come contenitore non è semplicemente qualcosa di poetico, ha degli effetti pratici e molto molto importanti, soprattutto sul piano della sicurezza
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dice Un lavoro fondamentale è quello della presenza del tuo corpo all’interno, del cantiere. Tu la prima cosa che devi fare è sapere dove sei, sapere dove sono le tue mani, sapere dove sono i tuoi piedi, ma non solo per la sicurezza tua personale, ma per la sicurezza e gli altri, perché tu in un cantiere sei con altre persone. Quindi prima di muovere un passo tu devi guardarti intorno. E dice Ora mi sposto perché qualunque tuo movimento potrebbe portare danno a qualcun altro. Quindi per quello dico il cantiere è una cosa interessante, perché costruisci anche un modo di stare insieme agli altri. Non può essere da solo.
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In questo episodio siamo partiti citando i Decker e abbiamo cercato di declinare il concetto di capacità di abitare. Secondo L’esperienza dell’ospite di questo episodio, cioè Marco Terranova un’esperienza fatta di cantieri, di autocostruzione, di pensiero collettivo e di una certa idea di società, è un’esperienza che lo stesso Marco ha sintetizzato con questo proverbio
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Io lo dovrei dire in siciliano che per me è un grandissimo imbarazzo che comunque sarebbe chi mangia fa Molly che mi è mi è venuta la prima, è una cosa a cui penso a cui penso sempre perché è bello, no? Il fatto che quando tu ti metti no ti butti nella mischia, ti metti a fare le cose alla fine il combini la rompi la tazzina oppure la fai la pole, la produci la segatura, ma significa significa che tu ti ti ci sei messo, no, non ti sei tenuto distante da quella cosa. Ti sei messo in prima persona con le conseguenze, nel senso che il tuo passaggio si vede.
La trascrizione del podcast è stata realizzata grazie a transcribe.refacturing.com.
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