Se fino a qualche anno fa, l’obiettivo dell’ecosistema startup italiano era quello di trovare il suo primo unicorno, oggi la questione è un’altra. Una startup che nasce in Italia, che poi si sposta all’Estero e da lì realizza la propria exit può essere considerata italiana?
In questo podcast non entriamo nel merito dell’annoso dibattito (che si ripete come un mantra ogni volta che si verifica un avvenimento del genere), ma ci siamo piuttosto chiesti: “Il mercato italiano ha un problema con la crescita delle startup?”
Per capire se e perché una startup italiana faccia fatica a crescere è necessario guardare all’ecosistema in cui si muove. Secondo Fabio Sferruzzi quello italiano non è un ecosistema focalizzato sulla crescita. A suo avviso infatti, gli attori che lo compongono non fanno abbastanza per supportare le startup nella fase post lancio. C’è poi un problema di “cultura”, come dice Daniele Mogavero, che spesso vede tra gli startupper e i founder la volontà di voler crescere, ma senza una conoscenza adeguata per farlo.
I due hanno messo in piedi un questionario per capire quali possano essere i bisogni e le necessità delle startup italiane in fase di crescita. Se ti va di contribuire puoi dire la tua.
Visto che il tema è la crescita, il primo punto che ci sembrava importante trattare è quello della raccolta di capitali. Abbiamo perciò parlato con Lucrezia Lucotti di 360 Capital che lavora tra Italia e Francia. La sua prospettiva è interessante perché può mettere a confronto i due mercati. A suo giudizio l’ecosistema italiano è ancora troppo lento, un fattore che non può che penalizzare chi vuole crescere tanto e subito come chi fa startup. Uno degli ostacoli alla lentezza della crescita secondo lei è poi l’ossessione che molte delle startup italiane hanno per il B2C. Il voler vendere al dettaglio si porta dietro spesso tanto lavoro di marketing e comunicazione a fronte di ricavi che arrivano con tempi lunghi (sempre che arrivino, è ovvio).
C’è però il mondo della ricerca e degli spinoff che, secondo Lucrezia, può davvero permettere all’Italia di fare la differenza nei prossimi anni. Sarà determinante il supporto che la filiera che sta tra gli startupper e gli investitori saprà dare all’intero comparto. Stiamo parlando di enti come acceleratori e incubatori e qui entra in gioco l’ultimo ospite di questo podcast, Silvia Mion di H-FARM.
Alla luce di questa doppia esperienza, ha maturato la convinzione di come sia necessario abbattere l’individualismo che caratterizza l’ambiente startup italiano. Questa “lotta” può essere affrontata in primis proprio dagli incubatori e acceleratori che hanno il compito di connettere le startup tra loro e con il resto delle imprese. Questo mondo infatti oggi è sempre più disposto a introdurre processi innovativi nel proprio lavoro quotidiano.
Questo è l’ultimo episodio di Start Me Up della stagione e forse l’ultimo in generale. Ho infatti deciso di mettere in pausa l’avventura che è iniziata nel 2014 e che per 8 stagioni ha prodotto in modo più o meno regolare più di 300 podcast.
Dire che è stata un’esperienza pazzesca sarebbe sminuire tutto quello che in questi anni ho vissuto: non riesco a pensare a quanti progetti, amicizie e “cose” sono nate parlando dietro i microfoni di Start Me Up.
Ringraziare tutti uno per uno sarebbe impossibile: dico solo che è stato bello contare sul supporto di chi ha contribuito in qualsiasi modo alla riuscita di questo podcast. Grazie anche a chi lo ha ascoltato, anche solo per un minuto, e a chi lo ha commentato e condiviso. Niente era dovuto e tutto è stato più che apprezzato!
Start Me Up tornerà, ne sono certo, in un modo che ancora non so bene quale sarà. Nel frattempo, gli episodi saranno online e potrai ascoltarli come hai fatto sempre.
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FABIO
Ogni volta che si celebra la exit di una startup italiana si va a scoprire che ad un certo punto della sua storia i founder hanno spostato la sede dell’azienda all’estero. E parte il dibattito sui social se quello che celebriamo è un unicorno italiano. con tutto quello che poi ne consegue: un sacco di post che alla fine non portano a nulla se non al nuovo dibattito che si scatenerà al prossimo evento simile.
Sto ovviamente generalizzando, ma questa storiella mi permette di presentare al meglio il punto centrale della questione: il mercato italiano ha un problema con la crescita delle startup.
Per affrontare un tema così delicato ho deciso di farmi dare una mano da altre due persone che hanno prodotto insieme a me questo podcast di Start Me Up
FABIO SFERRUZZI
Ciao, sono Fabio Ferruzzi e sono Co-founder e CEO di Echoboost.
DANIELE MOGAVERO
Ciao a tutti, io sono Daniele Mogavero e sono il fondatore Hi Founders, una community di startup tutta italiana.
FABIO
Fabio e Daniele, qualche mese fa hanno lanciato un sondaggio sul tema della crescita, anche se, ammette Fabio, non è la crescita ad essere il vero problema…
FABIO SFERRUZZI
ma che ci sia poco ecosistema e poca attenzione a farle crescere, cioè ad aiutare le startup che sono in quella fase un po’ più successiva a quella proprio di vera e propria messa a punto iniziale, dell’installazione set-up della start-up, quindi di nascita della startup. Quando poi un’azienda è nata, ha raccolto magari sui primi capitali, quindi ha raccolto la fiducia di qualche investitore che dice “Ok, andiamo sul mercato e proviamo a crescere” perché ha già raccolto le sue prime metriche sul mercato, dimostrando che il prodotto può crescere. Ecco li l’ecosistema italiano un po’ è manchevole
FABIO
Senza avere l’intento di offrire soluzioni a buon mercato, ci siamo messi in ascolto di chi come noi, vive questo mondo quotidianamente. É Daniele a evidenziare il tema che – piccolo spoiler – aleggerà per tutta la puntata
DANIELE MOGAVERO
Parte tutto dalla cultura, si sente almeno dal mio punto di vista, da quello che posso vedere appunto nella mia community e le altre community comunque, parlando nell’ecosistema in generale la necessità da parte delle startup di crescere, ma poi andando poi nel dettaglio difficilmente le startup o le persone all’interno delle start up, perché poi è un discorso legato molto più alle persone che non più al concetto di startup come azienda hanno poi la cultura o ancora di piu’ l’idea di come andare a crescere. Spesso si parla del devo crescere però poi come lo vuoi fare? Eh sì, vorrei fatturare di più, vorrei assumere più personale sì ok, ma che questo personale che cosa fa? O come lo fa? E quindi questa è una cosa che io vedo tantissimo c’è però poi nella pratica sono veramente poche le startup che hanno un’idea di come fare passo dopo passo per arrivare a raggiungere quell’obiettivo.
FABIO
E attenzione che qui non si parla di mancanza di nozioni teoriche perché analizzando i progetti che non funzionano…
FABIO SFERRUZZI
poi scopri che le cose che stanno facendo sono diciamo, osano poco e hanno poca visione, poco approccio al test e quindi a imparare. Quindi il classico approccio della crescita faccio un test, misuro, imparo, analizza, eccetera. Le persone non sono coordinate, non c’è un processo chiaro. Comunque molto spesso sono caotici le persone non sono correttamente committati. A volte non viene analizzata l’efficienza di ogni singolo passaggio dei processi, quindi non ci sono dati per poter fare analisi. E quindi molto spesso quando guardo i casi critici, quelli che ad esempio capitano a noi li guardi, li analizzi, dici “Ok signori, ma qui basta mettere a punto questo, questo questo”. Adesso che lo guardiamo lo sapete anche voi, basta farlo e cosa mancava? Mancava la cultura e avere la capacità e le metodologie per farlo e quindi passare da quello ho sentito dire applicarlo per davvero.
FABIO
Naturalmente il nostro intento non è puntare il dito contro le startup. Sappiamo che fare impresa in una impresa del genere è simile a aggiustare continuamente un treno in corsa mentre su quel treno ci stai sopra. C’è anche il tema dell’ecosistema in cui queste startup si muovono che spesso non sembra essere focalizzato sulla crescita.
Il primo punto che ci sembrava importante analizzare è quello legato alla raccolta dei capitali.
LUCREZIA
Buongiorno a tutti, io sono Lucrezia Lucotti e sono advisor presso 360 Capital.
360 Capital è un venture capital italo-francese presente dal novantasette in Italia e Francia e siamo investitori tech paneuropei e ci concentriamo sul settore early stage.
Da investitori notiamo rispetto ad altri paesi, soprattutto rispetto alla Francia che è il nostro benchmark. Innanzitutto che l’ecosistema italiano è ancora molto piccolo, cioè considerate che nel duemila e ventuno in Francia sono stati investiti dieci billion dieci miliardi in startup in Italia uno punto uno, quindi rapporto uno a dieci. Dall’altra parte. Vi dico mancanza di capitali. Questo direi al primo punto perché mancano fondi ma mancano fondi, soprattutto che si concentrino sull’early stage, quindi in fase pre-seed e seed. Noi vediamo tante startup che arrivano da noi impreparate, in parte proprio perché manca anche quella formazione, quella apporto di capitale nelle fasi iniziali, quindi nel primo anno di vita, quando la startup non ha ancora metriche non ha ancora trovato ovviamente il product market fit. Magari ha solo delle versioni beta con cui ha fatto dei trial con i primi users e quindi questo è sicuramente un problema. Notiamo che manca proprio anche cultura da parte degli investitori veri early stage, quindi investitori non istituzionali ma privati. Business Angel, ad esempio, che tante volte investono in progetti ehmm, danneggiando magari anche senza volerlo l’assetto della captable, quindi della ripartizione delle quote societarie all’inizio del ciclo di vita. Quindi poi la start-up dopo diventa difficilmente finanziabile se ad esempio i fondatori perdono la maggioranza.
00:07:25 FABIO
Il quadro delineato da Lucrezia mette anche in evidenza alcuni aspetti positivi
00:07:30 LUCREZIA
Stiamo notando un cambiamento dal punto di vista del funding più verso il Siri sei. Quindi quando le startup cominciano ad avere metriche approcciano il product market fit. Cominciano ad arrivare timidi segnali di interesse anche dall’ estero, soprattutto da paesi limitrofi come la Spagna, la Francia e direi anche la Germania, in realtà. In tutto cio’. Concludo sicuramente il Pnrr per alcuni settori faciliterà l’ingresso di nuovi capitali. Parlo soprattutto di startup nel settore energetico o legato alle economie sostenibili che è parte del piano del Pnrr. Però noi ci rendiamo conto da operatori privati che il deployment, che in parte è stato affidato a soggetti istituzionali come Cassa Depositi e Prestiti sta avvenendo, ma potrebbe avvenire in maniera ancora più rapida
00:08:34 FABIO
Oltre alle tempistiche – dice Lucrezia – c’è anche da rilevare che i cosiddetti deployment avvengono ancora “a pioggia”
00:08:41 LUCREZIA
Ad esempio, uno dei fondi a sostegno delle startup è stato il fondo rilancio dopo la pandemia covid gestito da Cdp. Il deployment sicuramente sta avvenendo per tutte le altre startup, invece che si stanno avviando verso una traiettoria, diciamo di espansione, quindi di Scale up, lì il deployment potrebbe essere, diciamo più sostenuto, più sostenuto significa più capillare, ma anche più rapido. Perché, come sapete è un altro dei gap italiani e la lentezza del deployment nella fase di investimento all’ estero ci sono tempi molto ridotti, si riesce a chiudere un deal in un paio di mesi massimo in Italia ci si mette molto di piu’. Questo rallenta perché la startup finché non ha i soldi in cassa non può partire con la nuova fase.
00:09:34 DANIELE MOGAVERO
E questo in realtà mi da il la per un’altra domanda nel senso che io ho parlato con con tante startup che mi han detto io ho approcciato VC, e il caso estremo di queste storie è stato proprio che sono morto tra il tempo che si è interposto tra l’ok dell’investimento e l’effettiva ricezione del capitale. Sul conto é però tanti VC in Italia magari cominciano una chiacchiera anche soltanto con la start-up. La loro richiesta di documenti in genere è talmente grande e magari da prendere una due persone del team per qualche mese per una startup nelle fasi iniziali è veramente un sforzo gigantesco e questo non so, è nella tua esperienza. È una cosa molto italiana o all’estero
00:10:24 LUCREZIA
molto italiana in italia, cioè meno attitudine al finanziamento di un progetto come noi lo chiamiamo anche a Ravenna zero. Quindi laddove la tesi di investimento che si fa è principalmente sul team, quindi sulla capacità di execution dei fondatori. In Italia questa cultura c’ è ancora poco, si cerca di trovare altri punti per consolidare, per avere più validazione del business. Il problema è che quello che vorremmo noi da operatori di venture capital e vedere un’italia piena di startup con potenziale da scale-up non di startup che poi diventano pmi innovative.
00:11:08 FABIO
Naturalmente la profittabilità resta un asset indispensabile per chi vuole fare startup, soprattutto in un periodo in cui gli investimenti saranno meno generosi…
00:11:16 LUCREZIA
Allo stesso tempo, però, se una startup vuole approcciare un percorso internazionale o comunque domestico coprendo tutta Italia ha bisogno di capitali.
00:11:28 FABIO
investimenti la cui gestione è migliorabile (e in parte sta migliorando) e tempi lunghi di erogazione dell’investimento. Fino a qui Lucrezia sembra aver confermato le impressioni da cui siamo partiti. Ma c’è un altro fattore che secondo lei rallenta la crescita delle startup italiane.
00:11:43 LUCREZIA
C’è ancora in Italia un’attenzione una predisposizione molto forte al settore B2C. Chi ad oggi sicuramente porterà a nuovi nuovi progetti interessanti. Però quando parliamo di settori business to consumer si parla di settori che avranno bisogno di grande quantità di capitale per arrivare a scala, quindi grandi spese in marketing e poco scalabili, magari anche in altri paesi. Quindi il nostro ragionamento subito che ad esempio è in Italia ci son pochi capitali in Germania, uno stesso progetto, magari anche identico a quello che noi vediamo in Italia ha già raccolto dieci venti milioni e quindi tanti progetti in Italia B2C si poi si fermano a raccogliere, magari con campagne di crowdfunding. Il che non c’ è nulla di male, ma all’ estero viene viene poi percepito diciamo come un aspetto non troppo convincente.
00:12:43 FABIO
E poi c’è ancora una volta il fattore formazione perché spesso le startup mostrano
00:12:50 LUCREZIA
poca preparazione nelle tante volte nel dialogo con gli investitori. Gli investitori venture capital sono soggetti abbastanza semplici perché alla fine siamo investitori finanziari. Quindi quello che ci interessa, oltre alle capacità del team, all’attitudine business di un di un founder, è capire se quelle poche metriche quelle diciamo quei punti fermi del mercato come grandezza del mercato, competizione metriche di base, siano chiare a noi e a loro. E tante volte anche la comunicazione di queste metriche chiave non è scontata.
00:13:32 DANIELE MOGAVERO
Soprattutto in America esistono ormai scale-up che però continuano a bruciare cassa, nel senso che continua a non essere profittevoli tanti casi anche facendo qualche nome blasonati la stessa Spotify l’ha tirata su tante, tante volte. Anche Uber mi pare abbia fatto il round Q, è qualche tempo fa…
00:13:57 LUCREZIA
Sta arrivando. Vi dico il momento del giudizio. Mi spiace dirlo, questa è una situazione anche rispetto a quella della pandemia, diciamo mai vista. Cioè i mercati finanziari sono giu’ double digit livello percentuale. È veramente questa la crisi che spazza via la crescita a tutti i costi e riporta sia gli operatori di venture capital che le stesse startups che le scale up coi piedi per terra. Quindi difficilmente mi immagino in un futuro. Il finanziamento ossessionato alla wework. Ok, grande opportunità per chi resisterà e per chi farà focus sulla creazione di valore più che di crescita esasperata. Quindi vi faccio un esempio noi abbiamo startup, magari che hanno competitor, che negli ultimi due anni hanno raccolto duecento milioni, che però bruciano cassa.
Non siamo sicuri che fra un paio d’anni in questi player siano ancora sul mercato e che invece l’esempio la lasciatemi passare piu’ virtuoso e magari prima anche meno fortunato di chi ha raccolto meno ma che invece si concentra sulla crescita, non fa un deployment probabilmente esasperato e comunque sopravvive perché si parla anche di sopravvivenza. Ce la possa fare, possa poi emergere fra un paio d’anni. Sono sincera, quindi questa è un pochino come come noi la vediamo. È ancora presto per dirlo, non siamo neanche troppo, diciamo pessimisti, avrete visto tutti gli articoli che sono usciti da White Combinator eccetera sul come warning alle startup ricordatevi venture capital, fanno Fand racing a loro volta, quindi devono deployare capitali.
La conseguenza quale sarà per le startup più a livello early stage? Sarà che probabilmente le valutazioni saranno più basse. Ci sarà una maggiore dilution per i founder nella captable e gli investitori vorranno anche guardare a quanto è sano e potenzialmente profittevole fra due o tre anni. Il business però i capitali non diminuiranno. Si starà più attenti, ma ci sono comunque
00:16:29 FABIO
nell’ultima parte dell’intervista Lucrezia dice cosa secondo lei farà la differenza nello scenario che ha appena descritto
00:16:37 LUCREZIA
Grande attenzione e crescita nel settore deep tech, quindi a tecnologie con una forte componente di proprietà intellettuale, sia hardware che software, soprattutto in ambito clima tech Energy. Perché ormai è una necessità, perché Bill Gates ha creato Breakthrough Energy Ventures? Per cercare le migliori idee nel mondo che potessero contrastare la fine del mondo fra un centinaio d’anni e questo pensiero poi negli ultimi due o tre anni si è diffuso in Europa. Quanti fondi clima tech energy transition avete visto nascere? Ne abbiamo anche uno noi. Li vediamo che l’Italia è nelle prime posizioni a livello europeo. Ci sono, avrete sentito parlare di qualche startup che sta facendo particolarmente bene. Ve ne cito una energia ed home nel campo del long term energy storage con un processo innovativo che anziché usare le batterie usa la la compressione della CO2.
Quindi vi dico noi siamo super attenti a tutto questo mondo di tecnologie deep tech che hanno bisogno di soldi, ne siamo convinti, non vanno al mercato se non dopo x anni come fattore super competitivo per l’italia, ma anche a livello di talenti. Noi abbiamo un fondo con in collaborazione con il Politecnico di Milano, in cui investiamo in tecnologie deep tech che attengono alla sfera del trasferimento tecnologico. Quindi prendiamo progetti che arrivano dal Politecnico di Milano, Torino, eccetera e li vediamo come veramente il talento dello startupper che prova a cambiare il mondo con tecnologie breakthrough possa essere il futuro dell’italia.
FABIO
Oltre alla raccolta dei capitali c’è un altro fattore che deve essere considerato quando si parla di crescita ed ecosistema startup. Mi riferisco alla formazione e all’accompagnamento di queste aziende, soprattutto nelle prime fasi di vita.
Una delle cose dette da Lucrezia che non hanno trovato spazio in questo podcast è l’attenzione che dovrebbe essere data ad una vera e propria filiera che sta tra gli startupper e gli investitori, mi riferisco a enti come acceleratori e incubatori.
00:19:16 SILVIA
Io sono Silvia Mion e all’interno di H-FARM mi occupo di progetti di open innovation.
00:19:23 FABIO
Il percorso lavorativo di Silvia all’interno di H-FARM è interessante…
00:19:27 SILVIA
Sono partita come startupper nel Duemilasette e dopo un’esperienza di undici anni all’interno di una start up. Ho iniziato a lavorare con le aziende che vogliono lavorare con le start-up, quindi a creare occasioni di incontro e di business tra corporate grandi aziende e startup.
00:19:48 FABIO
Anche Silvia riconosce una certa carenza negli startupper italiani nella formazione ai temi di impresa e spesso si è chiesta da dove dovrebbe arrivare questo tipo di insegnamento. La sua storia e il posto di lavoro che occupa, le offrono un punto di vista privilegiato…
00:20:03 SILVIA
Da un lato c’è un tema di formazione delle persone, è da un lato c’ è un tema di accelerazione delle startup di aiuto Nella fase iniziale io sono stata da entrambi i lati, sia dal lato della startup sia dal lato dell’acceleratore. E dal lato della startup ti rendi conto che quello che ti serve è proprio avere un supporto pratico, avere qualcuno che ti risolva dei problemi che tu non sai come risolvere dal legale, dal commercialista, da proprio cose molto, molto basic, se vogliamo molto pratiche, ma che se non le sai non le puoi imparare da zero, da solo. E poi serve fare rete. Serve inserire la startup all’interno di una rete, di un ecosistema, perché è impensabile che le startup facciano tutto da sole, ciascuna nella propria individualità è necessario ed è importante condividere le problematiche che molto spesso sono le stesse anche su settori diversi.
00:21:07 FABIO
Silvia ci tiene a evidenziare soprattutto il secondo punto, cioè il fare rete, perché, confessa, lei ha una sua teoria che ovviamente le chiedo di condividere con tutti noi.
00:21:18 SILVIA
Noi siamo un popolo di individualisti, non siamo mai stati un popolo gregge. Adesso passatemi questo termine in senso buono, okay. Siamo un popolo di individualisti che abbiamo tantissime qualità, ma quella di riuscire a fare a fare gruppo è una cosa che ci appartiene meno di altre e quindi è su questo facciamo fatica perché facciamo gruppo quando vediamo che questa cosa effettivamente ci può portare un tornaconto ci può portare un immediato vantaggio, ma a volte il vantaggio non è immediato. Il vantaggio lo si vede dopo qualche mese dopo qualche incontro dopo, a volte dopo anni e questa invece è una cosa che in altri paesi si fa molto di più.
00:22:09 FABIO
E questo è sicuramente un terreno dove gli incubatori possono giocare un ruolo decisivo
00:22:13 SILVIA
Il fatto di creare un po’ dei network che poi continuino nel tempo, perché a volte si dice abbiamo creato il network degli alumni dell’acceleratore. Però poi non ci si fa niente, ok, ci si sente ogni tanto, ma rimangono un po’ delle dei network sterili in cui magari mi ricordo che tre anni fa ho partecipato a un acceleratore in cui c’ era quella startup che adesso potrebbe tornare utile per qualcosa toh la contatto. Ma non è quello il senso di questi network è diverso, è un rapporto che deve essere continuamente alimentato per poter dare valore all’esterno
00:22:53 FABIO
A cui bisogna aggiungere anche il ruolo di collegamento tra le startup e le imprese già strutturate
00:22:58 SILVIA
La startup può crescere lavorando insieme alle aziende che gli danno da lavorare, diventano dei fornitori a tutti gli effetti, a volte entrare e diventare i fornitori di aziende molto grandi E molto difficile. Perché? Perché ci sono delle barriere all’ingresso. Gli uffici del procurement mettono per tutelarsi chiaramente perché devi avere tot esperienza devi avere tot fatturato devi dimostrare le referenze per cinque anni addietro. La start-up, ma probabilmente non era neanche nata cinque anni addietro, quindi diventa molto difficile. Però se hai un advisor, qualcuno che ti introduce, che garantisce in qualche modo per per te, che dice all’azienda prova a lavorare con questi perché secondo noi fanno quello che serve. A te lo fanno bene. Ehm puoi costruirci qualcosa insieme. Questa è una cosa che sappiamo fare bene. In generale dico che nel nostro paese, non solamente noi, su cui c’è molto valore.
00:24:08 FABIO
A questo proposito, quello cioè della cosiddetta open innovation, i dati sono piuttosto rassicuranti perché le aziende sono sempre più interessate alle startup
00:24:17 SILVIA
Un po’ perché sono molto affascinate dal mondo delle startup e questo è un bene perché comunque genera un’apertura, una curiosità. E dall’altro lato perché è c’è una corsa alla differenziazione all’innovazione che veramente è in spasmodica. Di conseguenza le aziende sono molto aperte proprio per cercare di capire dove possono fare nuovo business, dove possono risparmiare dei soldi, magari nei business che già stanno facendo e su questi aspetti hanno proprio interesse in questo momento. E dicono “Beh, prima di fare da me guardo se sul mercato c’ è qualche cosa di già pronto ok c’è già qualcuno che già fa queste cose qui” e quindi c’ è molta molta apertura in questo senso.
C’è anche chi investe molto e fa programmi proprio di accelerazione per prendere delle idee e poi potenzialmente investirci. C’è chi invece la vede più da un punto di vista molto pratico e magari fai delle attività diverse, quindi dei percorsi di scouting, di ricerca di Start-up. E poi con queste startup è trova a sviluppare dei progetti pilota, per esempio proprio per capire se sono le soluzioni che fanno al caso loro. I metodi sono sono diversi, però sicuramente c’è interesse ed è un momento da sfruttare.
Musica
FABIO
Da una prima e sommaria conclusione possiamo quindi affermare che prima ancora della crescita, alle startup italiane manca la cultura della crescita. Ed è proprio su questo tema che si concentra il questionario che Fabio Sferruzzi e Daniele Mogavero hanno lanciato qualche mese fa:
FABIO SFERRUZZI
Ci piacerebbe capire che cosa manca nella cultura, diciamo della crescita e vorremmo chiederlo all’ecosistema stesso e quindi in funzione di che cosa emerge da questa survey, diciamo, potremmo anche direzionare le argomentazioni e farci aiutare da persone che abbiano voglia di contribuire. È un tema difficile No, nel senso che il nostro serve non sono domande semplici, ovviamente. Ed è anche piuttosto lungo. Ed è un argomento difficile da trattare nel senso del primo percepito. È che un argomento che non tutti toccano tutti i giorni
FABIO
In più Fabio dal suo punto di vista, cioè quello di una persona che ha creato e oggi gestisce una azienda che si occupa di crescita e marketing, nota che
FABIO SFERRUZZI
tendenzialmente chi fa questo mestiere è un autodidatta. Sono poche le scuole che insegnano a fare questo mestiere. Chi si forma non vuole andare a lavorare nelle aziende, tendenzialmente la maggior parte si apre una partita Iva oppure si mette in gruppo con qualche amico per fare un piccolo studio. Quindi c’è un mercato iper frazionato e tendenzialmente essendo materie nuove e avendo una barriera all’ingresso molto bassa, è pienissimo di persone che hanno scarsa competenza.
FABIO
La conseguenza è un mercato dove
FABIO SFERRUZZI
I più bravi emergono e questi quasi li conosciamo tutti noi. Ce n’è tanti che invece non si riescono ad integrare nelle strutture. Perché questo sentiment (sono feedback che riceviamo) cioè “mancano i professionisti”, in realtà, essendo che ce n’è uno ogni angolo e perché uno non vogliono entrare nelle aziende, start-up, eccetera perché è un mestiere diverso fare il marketer all’interno di un’azienda o un’organizzazione da farlo da freelance.
E due perché evidentemente non è solo che mancano è che ci sono ma non hanno le competenze e quindi non mancano le competenze inteso come mancano le teste oppure le teste ci sono, ma non ho sufficienti competenze e quindi un tema di seniority.
FABIO
Stiamo quindi parlando di competenze indispensabili per crescere e che paradossalmente non riescono a incontrare con le aziende che ne hanno bisogno per un problema di cultura,. E quindi
FABIO SFERRUZZI
è molto più interessante dire “ok. Mancano competenze, comprale sul mercato”. E poi tu startup che devi internalizzare perché devi internalizzare queste competenze all’interno della tua struttura, perché il tuo valore è uno degli asset più importanti nel tempo. Costruirai la tua struttura, ma visto che l’investitore e tu sei una delle aziende che deve crescere velocemente, si differenzia dalle altre anche per questo motivo devi farlo, devi farlo subito.
FABIO
Un esempio utile per capire questo ragionamento – dice Fabio – è quello del “coworking”
FABIO SFERRUZZI
Cara azienda, devi crescere velocemente, ma non stare a prenderti un ufficio perché oggi sei in cinque. Domani sei in dieci. Dopodomani sei in venti sarà più tempo che passi a gestirti, l’ufficio e cercarne un altro eccetera che concentrati sul tuo mestiere. Vieni, non coworking flessibile, aggiungi desk. Infine ti sei risolto il problema. Non devi gestire niente, basta che paghi una fattura finito. Per le startup è ottimo, poi quando diventano grandi, ovvio che si fanno il loro ufficio. Satispay, il partito in tale Garden a Torino e poi oggi a casa Satispay Un building tutto loro è naturale, ma all’inizio non dovevano pensarci. Hanno comprato il servizio fuori.
Allora le dico care startup, Se qui dentro si legge che mancano competenze, le competenze che mancano di più sono quelle che molto spesso non collaborano con realtà esterne. Bisogna iniziare a parlare questa lingua, iniziare a capirsi, provare a trovare l’incastro a beneficio delle startup e per far si’ che emergano sempre di più e crescano queste strutture che aiutano le aziende in quelle fasi
FABIO
Le voci che hai sentito in questo podcast sono di:
Fabio Sferruzzi CEO di Echoboost e Daniele Mogavero, fondatore di Ei founder che ringrazio per aver proposto il tema e aver contribuito nella realizzazione di questo podcast.
Oltre a loro sono state con noi anche Lucrezia Lucotti di trisixtycapital e Silvia Mion di H-FARM.
Ho trascritto questo podcast utilizzando transcribe.refacturing.com.
Trovi il link al testo nella descrizione di questo podcast. E, nel caso volessi approfondire e partecipare al questionario che abbiamo citato, sempre nella descrizione del podcast, trovi tutti i riferimenti. Basta andare su radiostartmeup.it.
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