Dalla Sardegna uno startup studio per innovare l’ecosistema imprenditoriale italiano



Sono convinto che la parte più interessante dei processi innovativi è il modo in cui si ibridano quando iniziano a diffondersi in luoghi diversi da dove sono nati. Per questo motivo osservo l’esperienza di Kitzanos da tanto tempo e finalmente riesco a raccontarla in uno dei podcast di Start Me Up.

Kitzanos è uno startup studio (o Venture-Builder) sardo ed è uno dei pochi al Sud Italia. Come è facile immaginare guardando il board dei co-founder, il modello originale di questo tipo di impresa si è contaminato presto con il luogo in cui risiede. Questa “ibridazione” si comprende ancora di più ascoltando le parole dell’ospite, Nicola Pirina, che è l’amministratore delegato di Kitzanos.

Grazie a lui anche questo podcast si fa un po’ più “ibrido”. Perché parlando di creazione di impresa, il discorso poi vira verso il valore che tutto l’ecosistema italiano dell’innovazione potrebbe trarre da un rapporto più sano con il fallimento. Poi tocchiamo forse il tema dei temi cioè la relazione complicatissima che c’è fra il mondo dell’istruzione e quello del lavoro. E infine sottolineiamo quanto importante sia il ruolo sociale dell’impresa, soprattutto nel contesto italiano.

 


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Il modello originale di startup studio

Kitzanos è uno dei pochi startup studio (o Venture-Builder) che hanno sede al Sud Italia. A leggere Wikipedia uno Startup Studio è “un’azienda che, attraverso un processo detto di imprenditoria parallela, crea più startup in parallelo fornendo supporto alle aziende create dall’ideazione fino all’Exit. Uno Startup Studio può anche essere chiamato Venture-Builder o Startup Factory”. Questa è la mission di Kitzanos che affianca a questo modello anche consulenza per PMI e Pubbliche Amministrazioni mettendo a disposizione le proprie competenze per il rinnovo dei processi e delle policy.

Ma il tipo di startup studio proposto da Kitzanos si “anima” di ciò che ruota attorno al territorio in cui opera. E così non c’è un focus sui copycat, nonostante – ammette Nicola – “il mercato delle risorse umane delle startup che non hanno funzionato” sia molto interessante. Secondo Nicola Pirina infatti tutti quei componenti di team di startup che non ce l’hanno fatta hanno, in virtù della loro esperienza, un bagaglio di conoscenza molto utile da inserire in nuove imprese. Attenzione!!! Non stiamo parlando di mentor, ma di veri e propri soci che possono entrare a far parte di un team di lavoro e mettere a servizio ciò che hanno imparato durante la loro esperienza.

Il dialogo con le scuole e il valore sociale di un’impresa.

In più Kitzanos dialoga con le scuole perché si rende conto che spesso la formazione che i ragazzi e le ragazze ricevono non è in linea con le esigenze delle imprese. E questo ci porta a parlare del complesso rapporto che c’è tra l’istruzione e le aziende, anche alla luce delle recenti proteste degli studenti e delle studentesse di tutta Italia contro l’alternanza scuola/lavoro.

Infine, Kitzanos non perde di vista il valore sociale di un’impresa, cioè il contributo sociale e conomico che ogni azienda restituisce al territorio in cui risiede in virtù della sua sola presenza. Quindi quella capacità di creare reddito per le persone, che porta poi una comunità a crescere e a svilupparsi. Un argomento poco considerato quando si parla di startup e impresa, ma che, soprattutto in Italia, non può essere sottovalutato.

citazione di Nicola di Kitzanos

Tutti questi argomenti: il ruolo di uno startup studio, il fallimento, il rapporto tra scuola e lavoro e la portata sociale di un’impresa fanno parte del modello ibrido di azienda proposto da Kitzanos. Un modello che mira ad avere un impatto anche sull’ecosistema imprenditoriale italiano.


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Foto di copertina di Lukas Blazek via Unsplash

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Il percorso aziendale come scoperta delle persone che ci circondano



Se parliamo di impresa non possiamo parlare delle persone. Sono sempre di più le metodologie che ci hanno abituato a mettere l’utente e i clienti al centro. Un ambito poco indagato è invece quello che le imprese “fanno” alle persone, soprattutto a quelle che decidono di portare avanti un progetto aziendale personale.

È questo il tema del nuovo appuntamento di Fallisci Meglio con Michele Bellocchi che fino a novembre 2019 ha portato avanti Sfreedo.


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La storia di Sfreedo

Sfreedo era un sistema messo in piedi da Michele che metteva in contatto una rete di commercianti e cittadini di Caserta: l’obiettivo era la lotta allo spreco alimentare e il sistema faceva in modo che tutti ci potessero guadagnare. Gli esercenti potevano vendere la merce prossima alla scadenza che rischiavano di buttare, i cittadini potevano acquistare quei prodotti a prezzi scontati. Un sistema ideato e creato da MIchele e che nella fase iniziale veniva gestito utilizzando Whatsapp.

Successivamente Sfreedo cresce, passando a una app proprietaria e il servizio raggiunge circa settemila persone in tutta Caserta. Una crescita che però inizia a mettere in evidenza alcune criticità che porteranno Michele a chiudere questa avventura alla fine del 2019.

Citazione di Michele di Sfreedo su Persone e Impresa

Sfreedo: un “colapasta” che ha fatto emergere il buono che c’è.

La storia di Sfreedo e di Michele mette in risalto gli effetti del percorso imprenditoriale su chi decide di creare qualcosa da zero. Nel caso di Michele poi è più evidente perché Michele ha deciso di creare Sfreedo non nella sua città natale, ma a Caserta, dove si era da poco trasferito. L’esperienza di Sfreedo ha permesso a Michele di conoscere una città più bella di quella che ad un primo sguardo si era immaginato. Questo progetto ha lavorato come un “colapasta” su di lui, facendo emergere tutto il buono presente nella sua nuova città. E una città è sempre fatta dalle persone che la abitano.


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Nel podcast vengono citati questi due articoli:

Fai delle tue passioni un lavoro e impara dai tuoi fallimenti: la storia di Housatonic



L’ospite di questo podcast è Alfredo Carlo, facilitatore grafico, designer dei processi creativi e fondatore di Housatonic. Attraverso un’intervista e alcuni audio estratti dal suo intervento al Fuckup Nights Torino ripercorriamo la storia di Alfredo che, partendo dalle sue passioni, è riuscito a crearsi un lavoro che ha dovuto interrompere dopo sette anni di attività. Lo stop forzato gli ha permesso di analizzare quanto fatto fino a quel momento e ripartire con uno spirito nuovo.
Questo podcast che rientra nel ciclo FallisciMeglio è stato possibile grazie alla collaborazione con Fuckup Nights Torino, Impact Hub Torino e Marilù Sansone che ha messo a disposizione gli audio registrati grazie a Vocally.

Lo stop forzato di Stockbridge e la nascita di Housatonic

L’avventura imprenditoriale di Alfredo Carlo nasce grazie alla sua passione per la grafica e il disegno. Una dote che gli permette di confezionare linee di abbigliamento che vende attraverso un marchio da lui creato, Stockbridge. Il nome prende spunto da una cittadina americana a cui Alfredo è legato. Quando uno dei suoi principali acquirenti gli comunica che non potrà più acquistare i suoi prodotti le cose per Stockbridge non si mettono bene. È un momento difficile e Alfredo capisce che è necessario correre ai ripari. Come se non bastasse, nello stesso periodo un’azienda di abbigliamento con un nome molto simile a Stockbridge minaccia una possibile accusa per plagio e Alfredo, seppur a malincuore, decide di rinunciare al nome e a chiudere l’azienda. Fonda così Housatonic, l’idea per il nome gli arriva dal fiume che attraverso Stockbridge, e si concentra di più sulla facilitazione aziendale, un ambito che aveva iniziato a indagare qualche tempo prima. In più usa l’esperienza accumulata nel campo dell’abbigliamento per la creazione di gadget aziendali.

Lavoro e passioni personali: quale relazione?

I primi tempi di Housatonic sono caratterizzati da una serie di attività che sono ancora frutto delle passioni di Alfredo: con il tempo è lui stesso a concentrarsi su alcune, tralasciandone altre. Segno di una crescita personale e professionale di cui parliamo abbondantemente nella parte centrale di questo podcast.
C’è poi un aspetto molto interessante che sottolineiamo successivamente e cioè il valore del fallimento nel lavoro di squadra. Molto spesso si sbaglia sia perché non si chiede abbastanza ma anche perché non si aiuta abbastanza: è un mantra che Alfredo accenna durante il suo intervento alla Fuckup Nights e che noi approfondiamo durante l’intervista.

La citazione di Alfredo di Housatonic su fallimento, no e passioni

Successivamente indaghiamo anche la questione della scelta e dei no che ogni imprenditore deve dire quotidianamente. Alfredo ha sperimentato per primo l’importanza di un equilibrio tra i sì e i no che devono essere pronunciati. Una pratica che rafforza entrambe le risposte sia in un senso che in un altro e che inevitabilmente ha una ripercussione positiva sul lavoro quotidiano dell’imprenditore.

Questo podcast rientra nel ciclo FallisciMeglio, la serie che Start Me Up dedica al buono del fallimento.


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È il budget, bellezza!



Nuovo podcast del ciclo fallisci meglio che torna per la prima volta in questa stagione con una persona che stimiamo molto. Stiamo parlando di Roberto Chibbaro, siciliano che qualche settimana fa ha condiviso un post sul suo profilo Linkedin in cui parlava del suo inizio nel mondo dell’impresa, sottolineando l’importanza per ogni imprenditore di tenere d’occhio il budget. Roberto faceva riferimento alla sua prima avventura imprenditoriale e cioè UMG Media: oggi è a capo di C-Digital una azienda che include MakeMeApp un brand commerciale che aveva creato qualche anno prima. Nel frattempo ha avuto modo di creare anche una associazione che parlasse di digitale, Ragusa Digitale, appunto.

Di budget, Excel e… mutande!

Nel corso del podcast ripercorreremo la storia imprenditoriale di Roberto: dai suoi inizi con il supporto di Mediaset, alla realizzazione di un brand prima e di una azienda poi con il sostegno di un team di valore. Ci facciamo raccontare come Roberto riesce oggi a gestire un gruppo di persone dislocate su più città, come è riuscito a avere clienti come FCA e soprattutto come – nonostante tutto – riesce a far quadrare i conti. È qualcosa che ruota intorno a un file Excel e… una mutanda!

la citazione sulle competenze e sul budget di Roberto

Questo podcast è stato registrato presso l’Impact Hub di Torino. Grazie a tutto il tema per la splendida ospitalità!


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Gestire i fallimenti: una piccola guida che parte da “Tubthumping”

Se siete nati negli anni ’80 ricorderete sicuramente i Chambawamba, gruppo inglese che conobbe una certa fama intorno agli anni ’90 con Tubthumping, brano che trascinava più per il ritmo che per le parole (almeno al me dodicenne faceva questo effetto che potremmo identificare con la seguente gif).

via GIPHY

Avrei dovuto aspettare il 2004, durante il concerto del Primo Maggio a Roma, per realizzare ciò che quella canzone diceva. E non tanto la parte relativa alla dipendenza dall’alcol e le conseguenze che ti portavano a passare la notte in bagno, ma ciò che il cantante cantava durante il ritornello.

I get knocked down, but I get up again
You are never gonna keep me down

Mi ricordo che quella sera, tornando a casa, mi sentivo carichissimo, come se niente e nessuno mi potesse fermare. Sbagliavo? Ma io mi rialzo e nessuno, mai mi avrebbe lasciato lì per terra.

Io per indole non mi ritengo un battagliero, anzi! Forse sono più fifone che battagliero, però la consapevolezza che dagli sbagli io potessi rialzarmi era una cosa che mi emozionava (anche adesso che ho riascoltato il brano prima di iniziare a scrivere ciò che state leggendo) e che prima non avevo ben focalizzato.

Ok, ho sbagliato: e adesso che succede?

Tubthumping dei Chambawamba mi sembrava il modo migliore per introdurre l’argomento di questo post e cioè come gestire i fallimenti. Se infatti ci fa paura sbagliare, dopo aver commesso il fatto la domanda vera è: e adesso cosa accade?

È Rachel Simmons sul The New York Times a mettere insieme una serie di consigli su come gestire al meglio i fallimenti. L’autrice si rivolge a un pubblico prettamente femminile ma sono consigli che vanno bene per ciascuno di noi.

Partire ad esempio dalla considerazione che “tutti sbagliano” è una strategia se vogliamo banale, ma pressoché vincente. E il conseguente bagno di umiltà che ne consegue, ci permette di essere realistici e – soprattutto – di trovare una soluzione, anziché ritirarci in un angolo a disperarci.

Un’altra dinamica che aiuta a gestire al meglio gli errori non è tanto la consapevolezza che “sbagliando si impara”, ma la capacità di giudicare l’azione per quella che è. E il punto di vista è un aspetto per nulla secondario. Vi faccio un esempio: quando sbaglio sono molto più severo con me stesso che con un mio amico e/o collaboratore. A pari gravità di sbaglio, io sarò molto più indulgente con lui che con me stesso. Un altro modo quindi per gestire al meglio i nostri errori è focalizzarci fuori di noi. Io ho iniziato a farci caso da poco e i risultati sono per me tangibili.

Vuoi essere bravo a gestire i fallimenti? Esercitati!

Poi c’è chi decide di esercitarsi. L’uomo è un animale routinario e, in quanto tale, impara a gestire le situazioni ripetendole più volte. È un espediente che solitamente si applica alle cose pratiche e quindi perché non usarlo anche per gestire il fallimento? È il consiglio che dà Rachel Simmons alla fine del suo articolo. Attenzione però, non dice di sbagliare ogni giorno (sarebbe un vero e proprio supplizio), ma piuttosto ci invita a fare qualcosa che ci rende nervosi, prendersi piccoli rischi.

È un po’ quello che ha fatto Jia Jang per gestire al meglio l’essere rifiutato, un aspetto di sé che aveva difficoltà ad accettare. Ha deciso che ogni giorno avrebbe fatto una richiesta assurda a una persona a caso e avrebbe poi dovuto gestire l’eventuale rifiuto. Ha creato un videoblog su youtube che documenta tutto ciò, e a volte ha documentato anche la sua sorpresa quelle volte che piuttosto che un rifiuto, è stato accontentato. È lo stesso Jia che racconta il suo processo di apprendimento durante un TED talk molto spassoso che vi consiglio di vedere.

foto in copertina, un grab dal video dei Chumbawamba

04. Imparare facendo startup – #falliscimeglio



C’è un aspetto del primo ecosistema startup (quello dei primi anni 10) italiano che sembra essersi perso: ed è la formazione. In quel periodo, per invogliare i ragazzi a buttarsi a capofitto in una impresa che avrebbe potuto regalare loro gioie e (forse) ricchezza, veniva detto che se avessero intrapreso questa strada – in ogni caso – avrebbero imparato cose che altrimenti non avrebbero mai saputo. È uno degli aspetti che vengono fuori più prepotentemente da questo primo appuntamento stagionale di #falliscimeglio, lo spin-off di Start Me Up dedicato al buono del fallimento.

Ripercorriamo insieme la storia di Zenfeed

La startup protagonista di questo podcast è Zenfeed, un news reader tutto italiano che per un attimo si è trovato a competere con i colossi del web. A ripercorrere per noi la storia è Giuseppe Silvano, CEO e founder, che ha immaginato questo servizio partendo da una sua necessità e ha deciso di portare una sua soluzione (lui è uno sviluppatore) allo Startup Weekend Bari del 2012, senza immaginare cosa sarebbe successo da lì in poi.

la citazione di Giuseppe sul fatto di imparare facendo startup

Ha imparato tanto dal mondo startup, è questa la frase che sentirete più spesso se deciderete di ascoltare questo podcast in cui passiamo in rassegna i momenti salienti di questa startup che – per certi versi – ha tutte le caratteristiche e i sogni di una azienda nata in quel periodo, da una semplice idea e che ha saputo sfruttare tutte le occasioni che le sono capitate e che si è – giustamente – guadagnata. L’obiettivo era quello di conquistare il mercato anche se – giorno dopo giorno – diventava sempre più difficile.

Imparare facendo impresa, anche grazie all’ecosistema Startup

Ma la storia di Zenfeed ci insegna che niente, in una esperienza simile, è inutile. Tutte le frustrazioni, le gioie, i traguardi, hanno consegnato ai founder (che sono rimasti gli stessi dallo startup weekend di Bari in cui l’idea aveva preso forma per la prima volta) un bagaglio di conoscenze che hanno giocato un ruolo decisivo nella carriera di ciascuno. Hanno imparato, e non solo dal fallimento, da ogni singolo passo che Zenfeed ha fatto. Per questo motivo è stato naturale pensare di concentrare tutte le esperienze e le tracce di questa storia in un tumblr dove chiunque ha accesso ai documenti di questa startup. È il giveback che questi ragazzi hanno voluto lasciare a chi vorrà imparare facendo startup così come è capitato a loro. Il fallimento? Non è certo qualcosa di piacevole, ma fa parte della storia, ed anche da quello si può imparare.

Forse ripassare la storia di Zenfeed ci è utile per questo: per rimettere a fuoco come fare startup è qualcosa che può darti un lavoro, magari la fama, ma può soprattutto insegnarti tanto. E se lo condividi, impariamo tutti.


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Imparare dal fallimento: cosa ci insegna l’esperienza di Skilled?



Sono i ragazzi di Skilled a dare il via a #Falliscimeglio, la nuova rubrica targata Start Me Up che vuole raccontare il buono dell’esperienza del fallimento. In questo diciassettesimo podcast di Start Me Up con l’aiuto di Alessio Salzano ripercorriamo infatti la storia di Skilled, l’applicazione nata a Messina che voleva cambiare il processo di ricerca del lavoro. Operando esclusivamente da mobile, l’applicazione permetteva a chi cercava lavoro di trovarlo in maniera facile e veloce.

logo di SkilledAlessio insieme a Diego Busacca e Andrea Galli fa parte del gruppo fondatore e ci permette così di seguire la parabola che ha portato Skilled da idea di successo (almeno sulla carta) alla chiusura del progetto. Skilled aveva tutti i requisiti per sfondare: viene concepito nel periodo in cui c’era un grosso hype nel mercato mobile e i contenuti dovevano essere generati dagli utenti stessi, in un momento in cui il crowdsourcing era molto in voga. Inoltre, l’ingresso del professore Massimo Villari, uno dei massimi esperti nel settore Cloud, ha dato una ulteriore spinta affinché questa applicazione si avvalesse di questa tecnologia che si stava affacciando con prepotenza sul mercato. Inoltre, il team era eterogeneo, di talento e capace. Quindi, cosa è andato storto? Perché Skilled non ha sfondato? Ma soprattutto, qual è la lezione che possiamo imparare da questo fallimento? Alessio dà una sua interpretazione, naturalmente, e potete ascoltarla nella parte finale di questo podcast.

Perché #falliscimeglio?

Era da almeno un anno che pensavo di affiancare le storie dei fallimenti delle startup a quelle sull’innovazione tecnologica, sociale e culturale che solitamente popolano Start Me Up. Il motivo? Contribuire a alimentare una cultura del fallimento che – come diciamo spesso – manca o viene raccontata in modo distorto. #falliscimeglio vuole raccontare il buono del fallimento delle startup che oggi non ci sono più (o che oggi fanno qualcosa di diverso) per fare in modo che gli ascoltatori possano far tesoro degli errori degli altri per non commetterli più. E inoltre, per fare in modo che ci si possa rendere conto che il mondo delle startup non è solo fatto di successi: sono tanti quelli che ci provano e che, seppur sbagliando, decidono di andare avanti. Lo ha scritto molto bene Fabrizio Ferreri Ceo di Seejay sul suo profilo facebook qualche mese fa:

E con #falliscimeglio, Start Me Up vuole fare la sua parte.


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