Prima che la pandemia sconvolgesse le nostre vite ti sarà capitato di dover parlare in pubblico per lavoro o in situazioni private. Dopo lo smarrimento iniziale, sarai andato a cercare le regole del perfetto Public Speaking. Così, nell’ordine hai: preparato e provato il tuo discorso fino allo sfinimento, esercitato la postura e il controllo visivo, modulato il respiro per non rimanere senza fiato, curato il tuo aspetto e seguito tutti i trucchi trovati in rete per prepararti nel miglior modo possibile.
Adesso che la maggior parte delle interazioni sociali si svolge online è lecito chiedersi se certe regole siano ancora valide o se ci siano altri accorgimenti che sarà bene mettere in atto. Dopo una piccola ricerca in rete, ho scoperto che tutti consigli elencati vanno bene anche per il Public Speaking online, che è la nuova frontiera della comunicazione, un nuovo modo di parlare in pubblico attraverso dispositivi elettronici e su piattaforme specializzate.
Quindi ecco tre video che si focalizzano sulla fiducia in se stessi e sul valore del proprio messaggio e un articolo che dà alcune dritte sulle riunioni online.
4 Tips To IMPROVE Your Public Speaking – How to CAPTIVATE an Audience
Il primo video è sul canale youtube motivation2study e raccoglie i consigli di alcuni grandi speaker su come migliorare la propria capacità di parlare in pubblico, attirando l’attenzione degli ascoltatori. Avere il coraggio di essere se stessi e voler condividere qualcosa con gli altri sono alcuni degli spunti più interessanti del video, cui si aggiunge l’importanza del raccontare storie per comunicare qualsiasi cosa.
5 tips for impressive Public Speaking – Speak with confidence | Personality Development
Restiamo su youtube per i consigli di Skillopedia – skills for the real world. In questo video il public speaking è visto come una sfida da accettare per superare i limiti imposti dalla mente. Qui ci si concentra su come dire una cosa piuttosto che su cosa dire, su quanto sia determinante il linguaggio del corpo e sull’uso di esempi concreti, tratti dal quotidiano per incuriosire l’audience.
Come iniziare un discorso
Sapere iniziare un discorso è tra i fondamentali del public speaking, Conor Neill, esperto di persuasive communication, ci invita ad iniziare i nostri discorsi non in modo impersonale o formale, ma a raccontare storie che catturino gli ascoltatori, e cosa suscita l’interesse degli altri? Le storie delle persone dietro ai fatti; sentimenti ed emozioni da condividere per immedesimarsi nell’esperienza altrui. Partendo da questo, si riesce a creare una connessione pura e diretta con il pubblico.
Zoom & Skype call tips (the secrets of video conferences)
Per ultimo ho lasciato un articolo che affronta alcuni aspetti tecnici da tenere in considerazione durante videochiamate e riunioni online. Sul blog di Seth Godin, scrittore, imprenditore statunitense ed esperto di marketing, trovate una lista di nove punti che vanno dal sedersi vicino allo schermo a non mangiare durante le call. Alcuni appunti vi faranno sorridere, altri saranno illuminanti: non bisogna mai dare nulla per scontato. E se ve lo dice uno dei più importanti divulgatori di marketing digitale, potete crederci!
Se volete approfondire l’argomento, rimandiamo al Webcafè con Cristina Marras, esperta di Public Speaking e comunicazione, nonché voce della sigla del nostro podcast. Questa intervista rientra tra i contenuti speciali riservati ai sostenitori di Start Me Up. Webcafè con Cristina Marras
Lo ammetto: Instagram non è la mia passione. Ci passo poco tempo, e per quanto le stories mi tengano incollato allo schermo più del previsto, non sono un grande fan di questo social. Nonostante questo però ho aperto il profilo di Start Me Up perché lo ritengo comunque in linea con il target di riferimento del programma. E quindi ho anche io a che fare con la annosa questione della gestione ottimale di questo canale.
Ho fatto alcune ricerche per capire se esistessero dei metodi che mi potessero aiutare e tra le varie strategie di crescita che ho trovato mi ha incuriosito il metodo 1.80$ formulato da Gary Vaynerchuk (il “Kim Kardashian degli influencer”, come ho letto su reddit).
Come funziona il metodo 1.80$
Il metodo 1.80$ non prevede un pagamento. Il denaro da cui prende il nome si riferisce ai fantomatici 2 cent, intesi nel gergo anglosassone come la mia (umile) opinione. Avete già intuito come funziona? Ve lo scrivo:
La prima operazione prevista dal metodo 1.80$ è trovare i 10 hashtag più popolari del settore in cui si opera. È questa la fase forse più complicata, a detta dello stesso Vaynerchuk, dell’intero processo. Per trovare gli hashtag bisogna infatti cercare tra i post più influenti degli account che “dominano” il settore e fare un paio di esperimenti.
Una volta trovati gli hashtag è necessario andare alla ricerca dei 9 post con più commenti, 9 per ogni hashtag. Vaynerchuk ci tiene a precisare che non importa quanti like o follower abbia il proprietario dell’account, il parametro da tenere d’occhio è la quantità di commenti che quel post è stato in grado di generare: se ne ha tanti è il momento di agire.
Agire? Perché fino ad ora cosa abbiamo fatto? Agire nel senso che è arrivato il momento di lasciare i nostri fantomatici 2 cents: un commento, un pensiero, una domanda o ancora meglio, una risposta se qualcuno chiede qualcosa. Sono da escludere i commenti lampo tipo “Bel post” o quelli con un paio di emoji.
Il senso del metodo 1.80$ è distribuire valore attraverso Instagram, non solo attraverso i propri post o stories, ma anche tramite le interazioni che generiamo.
Pensateci, se moltiplicate 2 cent per 9 quanto fa? Bravi 1.80! Così vi ho spiegato anche il perché del nome.
Si ma, funziona per davvero il metodo 1.80$? La parola all’esperto!
Il primo dubbio che ho dovuto sciogliere è stato se il metodo fosse ancora valido visto che l’articolo pubblicato da Vaynerchuk risale al 2018. Seppur infatti non stiamo parlando di un secolo fa, ho pensato a tutte le novità che in questi pochi anni Instagram ha implementato.
Mi sono fatto così un giro online e a quanto pare sì, c’è addirittura un tool che si chiama dollareighty.com (ed è a pagamento).
Sono un po’ diffidente di natura e non conoscendo bene il mondo di Instagram ho chiamato in causa un “esperto”. E chi se non Salvatore Borzacchiello aka @borzac, admin di @igersitalia e community manager di @igers.calabria. Quando ho chiesto a Salvatore un commento sul metodo 1.80$ mi ha confessato che lui lo ha sempre utilizzato da quando “frequenta” Instagram. Nel senso che Vaynerchuk ha di fatto messo a sistema il comportamento che chi utilizza Instagram dovrebbe adottare. Salvatore infatti scrive:
“Con questo metodo Gary Vaynerchuk non fa altro che spiegare all’utente che vuole far crescere i numeri dei seguaci e, ancora più importante, il famigerato engagement del proprio account, come è facile sfruttare l’algoritmo di Instagram attraverso il rilascio di quelli che lui chiama 2 cent, ovvero le interazioni. È risaputo che più si interagisce con commenti e like a post, storie e reels, più si avrà una risposta negli stessi termini sui propri account.
Questa, a conti fatti, è la strategia che ho utilizzato sin dalle mie prime apparizioni su Instagram (prima ancora che Gary Vaynerchuk la formulasse in questi termini), sia con il mio account personale che con quelli che gestisco per la community di IgersItalia. Sfrutto cioè, non in modo così calcolato, le reali interazioni con le persone e le aziende che abitano il social network, assecondando, anche inconsciamente, il volere degli sviluppatori di Instagram”.
Salvatore fa giustamente il paragone con altre strategie di crescita su Instagram che si basano su tecniche a pagamento o che sono considerate poco “etiche” come ad esempio l’utilizzo di bot.
Il ricorso ai bot è stato condannato “dagli stessi sviluppatori di Instagram – spiega Salvatore – che ne hanno cambiato l’algoritmo, facendo precipitare le performance dei contenuti postati. Come conseguenza di ciò tanti utenti hanno deciso di utilizzare pratiche scorrette come il follow/unfollow”.
Conclusioni
Mi sembra quindi abbastanza chiaro che il metodo 1.80$ non è altro che una schematizzazione di ciò che, su carta, dovrebbe essere Instagram: un luogo in cui condividere valore attraverso i propri post e le proprie interazioni.
Ciò che ci vedo di buono (almeno per quello che è la mia esperienza) è la possibilità che il metodo 1,80$ mi dà di pormi degli obiettivi chiari nella gestione di Instagram, non solo in termini di risultati, ma anche di azioni e tempo da dedicare a questo canale. Senza andare alla cieca e senza accanirmi sui miei account, so cosa fare giorno dopo giorno.
I risultati? I numeri dell’account di Salvatore fanno ben sperare, ma non escludo un nuovo articolo tra qualche mese per aggiornarvi su quello che sarò in grado di fare con l’account di Start Me Up.
Il Pitch buono è quello efficiente. Se ci segui lo sai almeno da un paio d’anni. Da quando cioè è passato Maurizio La Cava dai nostri microfoni e lo ha spiegato in uno dei nostri podcast. Già allora ci siamo resi conto di quanto fondamentale fosse il pitch nella vita di una startup. È quindi importante non lasciare al caso nessun dettaglio quando ci si prepara a affrontare una platea di investitori. In questi giorni Maurizio sta diffondendo un nuovo strumento, l’investor pitch canvas. Uno schema che racchiude gli aspetti fondamentali di un pitch.
Perché un investor pitch Canvas?
Il pitch è il biglietto da visita di una startup, una presentazione breve, concisa, incisiva in cui si illustra la mission di un’impresa. Una presentazione che solitamente deve essere fatta in 5 minuti. È quindi necessario inserire quante più informazioni possibili, senza però annoiare il nostro interlocutore, anzi! Dobbiamo cercare di coinvolgerlo sempre più. Ci vuole tanto esercizio, va detto, ma anche una buona dose di consigli non guasta. Per questo motivo, Maurizio La Cava, che è docente di Presentation & Pitching strategies al Politecnico di Milano e Ceo di MLC Presentation Design Consulting, ha studiato i pitch dei founder di alcune delle più importanti aziende e ha individuato un modello di presentazione ricorrente e di successo, l’Investor Pitch Canvas (clicca sull’immagine per scaricare il template).
“Il canvas – assicura Maurizio – permette di strutturare una presentazione di pitch includendo tutte e solo le informazioni necessarie. Ogni sezione è disposta all’interno di un flusso comunicativo ottimizzato che permette di aver sempre in mente l’ordine da seguire”. Vediamo adesso le informazioni principali che non possono mancare.
I quattro elementi che non devono mancare in un investor pitch perfetto
Un pitch perfetto parte sempre da un problema, giunge ad una soluzione, passando dalla richiesta di raccolta fondi fino ad una roadmap per tracciare l’andamento del portafoglio d’investimento.
Il primo passo è quello più importante, dove lo startupper si gioca un po’ tutto. Per questo motivo è necessario iniziare bene. Bisogna presentare un problema che sia abbastanza diffuso e se così non fosse, sarà responsabilità dello startupper descrivere il contesto, introducendo il problema e spiegando l’impatto che il progetto avrà sulla società.
Una volta agganciato il pubblico con il problema è necessario presentare una soluzione, che è poi il progetto di impresa che si sta presentando. La soluzione deve essere la migliore sul mercato e deve, ovviamente, risolvere tutti gli aspetti messi in evidenza un attimo prima mentre si parlava del problema. Solitamente si parla di unique value propositiondell’impresa che risponde alle domande: “A quali clienti ci rivolgiamo?” e “qual è il bisogno che risolviamo?”.
Se siamo stati bravi fin qui, il pubblico sarà coinvolto e possiamo chiedere loro qualcosa in cambio. Infatti non esiste pitch perfetto senza una Call to Action. È quindi arrivato il momento di far avanzare la richiesta di finanziamento mostrando l’importo che stiamo cercando, la relazione sullo stato di avanzamento della raccolta di fondi e gli stanziamenti previsti dai fondi richiesti. Se possiamo, mostriamo anche le diverse percentuali di allocazione del budget che vengono richieste. Non è obbligatorio, ma è molto utile.
Infine mostriamo di avere le idee chiare e facciamo capire a chi ci ascolta cosa vogliamo fare dei soldi che stiamo chiedendo. È quindi il caso di mostrare una sequenza temporale come modello di grafico. Facciamo attenzione però, avverte La Cava, a segnalare solo il periodo di tempo in cui si prevede di utilizzare il finanziamento. “Il consiglio è quello di evitare di presentare una tabella di marcia ventennale quando si sa che in una startup anche solo un anno può rovesciare completamente le prestazioni dell’attività”.
Se almeno una volta ti sei sentito non adatto per un particolare riconoscimento che hai raggiunto, non preoccuparti: non sei solo e soprattutto, non sei un impostore. È abbastanza comune tra chi raggiunge un particolare successo sentire di non meritarselo e considerarsi, appunto, degli impostori. E tutto questo nonostante tutti intorno sono lì a dirti quanto bravo e brillante tu sia. È un discorso che vale per gli uomini e le donne che lavorano nei campi più disparati dove la competizione è più alta. La scienza chiama questa sensazione: sindrome dell’impostore.
Mi è venuta in mente la sindrome dell’impostore perché è qualcosa con cui io mi ci sono imbattuto in passato ed è qualcosa con cui continuo a farci i conti ogni tanto. Soprattutto in ambito lavorativo e creativo. Così, ho fatto una piccola ricerca su internet per documentarmi per scrivere qualcosa e mi sono perso a guardare i quattro video che ho elencato qui (e che ho messo anche in una playlist su Youtube). Due sono animazioni che spiegano cosa la sindrome dell’impostore è, mentre gli altri due sono due testimonianze. Vediamole insieme.
The Impostor Syndrome
È uno dei video che fa parte di The School of Life, l’iniziativa fondata da Alain de Botton, scrittore, filosofo e conduttore televisivo. In poco meno di sette minuti il video illustra le principali caratteristiche della sindrome dell’impostore e alcuni modi per combatterla. Il video è in inglese ma potete attivare la traduzione automatica, altrimenti trovate una versione con i sottotitoli in italiano qui.
Start Me Up è soprattutto un podcast: ascoltalo dove e quando vuoi
What is imposter syndrome and how can you combat it? – Elizabeth Cox
Questa è un piccolo cartone animato che racconta la storia della sindrome dell’impostore, quando è stata teorizzata e da chi. Nella seconda parte, come anche è specificato nel sito, gli autori ci consigliano come superare questo senso di inadeguatezza e accettarci per quello che siamo, cioè non impostori. (Purtroppo per questo video non è presente la traduzione).
Due TEDx Talk sulla sindrome dell’impostore
Chiudo questa piccola rassegna con due TEDx Talk che trattano in modo totalmente diverso il tema della sindrome dell’impostore. Il primo è l’intervento di Phil McKinney, che ha lavorato come Chief Technology Officer da Hewlett-Packard e al momento della registrazione del talk era il CEO di CableLabs. L’esperienza di Phil McKinney è molto particolare perché viene fuori in un modo che lui non si aspettava (In questo video sono disponibili i sottotitoli in italiano).
Ultimo video di questa mini rassegna dedicata alla sindrome dell’impostore ha come protagonista Mike Cannon-Brookes, co-founder di Atlassian, una software company australiana che ha ottenuto numerosi riconoscimenti. Mike Cannon-Brookes racconta di come lui ha fatto i conti con la sindrome dell’impostore in un modo molto semplice, diretto e molto molto divertente (puoi attivare la traduzione automatica in italiano).
A quanto pare saremo costretti a lavorare da casa per un bel po’, una pratica a cui molti di noi non erano abituati fino a poco tempo fa (vedasi la seppur banale ma quanto mai esplicativa confusione dei termini lavoro da casa e smart working).
Sta di fatto che adesso siamo costretti a farlo e quindi perché non farlo al meglio? Ci sono in giro parecchie guide che vi aiutano a strutturare al meglio il lavoro da casa. Abbiamo letto i blog delle aziende che hanno fatto del lavoro da casa il loro punto di forza e questi sono i tre consigli che abbiamo trovato più spesso.
Fare un piano delle attività della giornata
È il consiglio che troverete dappertutto. Se si parla di lavoro da casa è necessario stabilire un piano che vi permetta di sapere quando lavorate e quando no, soprattutto se lo spazio in cui vivete è piccolo. È il consiglio che il blog di remote.co mette al primo posto. Avere un proprio piano della giornata in cui sapete da che ora a che ora starete al computer, quando fare le pause, ecc. vi aiuterà a gestire meglio le giornate e a essere molto più produttivi. Da questo punto di vista il lavoro da casa è un’ottima scusa per conoscersi meglio e sfruttare le proprie abilità. Solo voi sapete qual è il momento in cui siete più produttivi: è quella l’ora in cui evitare le chiamate e dedicarsi ai progetti più impegnativi. Lavorate meglio la sera? Potete permettervi di svegliarvi un po’ più tardi. Di esempi se ne possono fare a milioni. Se poi non siete capaci di gestire il vostro flusso lavorativo ci sono una serie di strumenti e tecniche che vi aiutano in questo (workinnomads.co ne elenca alcuni). Quando pianificate la vostra giornata non dimenticate di includere nella vostra routine anche momenti di svago che vi stacchino dal computer (e dalla sedia). E non per mettervi a letto.
Organizzare gli spazi
Più o meno per gli stessi motivi del consiglio precedente, organizzare al meglio gli spazi facilita la vostra mente e il vostro corpo a “capire” meglio il momento della giornata che state vivendo. Quindi createvi una vostra postazione, magari nella parte più luminosa della casa: essere vicino a una finestra vi permetterà di guardare fuori e riposare di tanto in tanto gli occhi. Avere uno spazio dedicato al lavoro è uno dei consigli principali. Ne parla “Ambition & Balance, by Doist” nel suo blog dove elenca le principali abitudini di chi lavora da casa mentre remote-how.com alla FAQ 36 vi da qualche consiglio su come sistemare la vostra postazione casalinga.
Una volta sistemata tenete la postazione pulita e fate in modo che lì ci andiate solo per lavorare, no pranzo davanti al computer o peggio ancora lavorare dal letto. Pensate anche di sistemarvi in un posto bello in caso in cui sarete coinvolti in video chiamate: non sottovalutate mai lo sfondo e ciò che avete dietro. In caso, se usate Zoom, Canva viene in vostro aiuto.
Restare connessi
Uno dei rischi più grossi per chi lavora da casa (e vive solo) è la solitudine, una condizione naturale che può portare anche alla depressione. Ok, niente panico, esiste la soluzione! Ed è quella di restare connessi con il mondo esterno: gli strumenti ci sono, li conosciamo fin troppo bene e anzi a volte sono visti come una distrazione. Avere qualcuno con cui parlare, anche solo virtualmente è un supporto enorme. Se pensate che una chat possa risolvere tutti i problemi, siete leggermente fuori strada. Così come consigliano gli autori del blog di Buffer, un buon modo per evitare la solitudine mentre si lavora da casa sono le video chiamate. Vedersi e parlare (non scrivere) con qualcuno è un toccasana per chi è costretto a rimanere tra le mura domestiche.
Se lavorate come freelance e quindi non avete colleghi, potete sempre unirvi a una community online. Potete sceglierla in base al vostro lavoro, ai vostri interessi e, se proprio non sapete a chi rivolgervi, noi possiamo suggerirvene una!
Mi prendo la libertà di usare la prima persona singolare perché in questo post voglio consigliarvi nove strumenti che potete usare per mettere in pratica lo smart working, che poi in realtà è un modo erroneo per dire lavoro da remoto (lo spiego qui). Posso tranquillamente affermare di avere ormai una certa confidenza nel lavoro da casa, dedicando le mie giornate a progetti che porto avanti da solo o in gruppo. Sono un esperto? In un certo senso, anche se non me la sento di dare una definizione di smart working e sul perché non possiamo (o meglio, non dobbiamo) definirlo lavoro da remoto. Lascio ad altri la parola, che ne sanno, di gran lunga, molto più di me.
Quello che però mi sento di condividere con tutti voi sono gli strumenti che solitamente utilizzo nel mio quotidiano e mi permettono di avere sempre a portata di mano ciò che mi serve ovunque io sia. Li ho divisi per ambito così è più facile la consultazione e SPOILER SPOILER non troverete niente sulla programmazione perché, come potete immaginare, non sono un programmatore.
È il fratello russo di Whatsapp che offre una serie di funzionalità in più rispetto al software acquistato dal buon Mark. Io lo uso principalmente per gestire la community riservata a chi sostiene Start Me Up ma lo uso anche per i canali tematici che puoi trovare al suo interno. Ne seguo alcuni dedicati all’innovazione e alle startup, ma anche altri legati alle cose che mi piacciono, come ad esempio i libri e i film. Se quindi da una parte mi permette di gestire i messaggi di “lavoro” (solitamente per i messaggi privati e personali uso WhatsApp), Telegram per me è anche una fonte di contenuti e spunti che uso per tenermi aggiornato.
Scoperto qualche anno fa, me ne sono innamorato quando, dopo l’ennesima videoconferenza traballante su Skype, ne ho potuto saggiare la stabilità e velocità. Zoom vi permette di organizzare video conferenze sia audio che video, vi dà la possibilità di condividere gli schermi e di poter selezionare la schermata che vi interessa (non solo quindi il vostro monitor ma anche solo la pagina del browser che in quel momento avete aperta). Inoltre non ha tutte le funzionalità “social” che Skype ha messo su e che onestamente trovo abbastanza inutili. I partecipanti accedono alla conferenza tramite link e oltre al video hanno una chat che permette loro di parlare a tutti o scegliere solo alcuni destinatari. La cosa migliore è che Zoom vi fornisce – se lo volete – la registrazione della conferenza, ma mica una sola! Vi dà la registrazione audio/video, quella solo audio generale e quella audio singola per ospite. E per chi si occupa di audio editing sa quanto sia importante avere le tracce audio suddivise. In più ha una gestione ottima della regia (il sistema riconosce chi parla e lo “inquadra” automaticamente). C’è una versione a pagamento, ma anche quella free, sono certo, vi soddisferà parecchio.
Prima di scrivere questo articolo pensavo che Dropbox fosse figlio diretto di drop.io, servizio di file sharing che mi aiutò a contenere la mia ansia ai tempi della scrittura della tesi quando, a fine giornata, finita la stesura quotidiana salvavo il file sul pc, su una pen drive e su drop.io (che metti che perdo la pen drive e mi rubano il computer?!?!?). E invece scopro da Wikipedia che drop.io è stato acquisito da Facebook e poi chiuso (tristezza!) in cambio di un posto di lavoro offerto a Sam Lessin, l’ideatore del servizio (vile denaro!).
Ma dicevamo Dropbox. Dropbox è quel servizio che vi permette di avere i vostri file sempre a portata di mano: un hard disk portatile accessibile da qualsiasi device. Io lo uso per le card che faccio per Start Me Up e che vanno condivise tramite social ma anche per trasferire le foto dal telefono al pc (non mi va di dare anche questi dati a Google). Dropbox vi dà anche la possibilità di condividere una cartella con altre persone. Occhio se lo fate perché una volta io ho condiviso una cartella con persone poco esperte che – pensando di fare spazio sul proprio telefono – ne hanno cancellato tutto il contenuto e abbiamo perso i file. Ops!
Se lavorate con file di dimensioni molto grandi allora avrete già usato questo servizio. Grazie a Wetransfer riuscite a condividere file grandi fino a 2GB (se usate la versione gratuita) inviando una semplice mail al destinatario. Nella mail c’è il link da cui il suddetto contenuto può essere scaricato. I file restano online per un certo periodo di tempo e il servizio avvisa periodicamente sia il mittente che il destinatario della presenza dei file che devono essere ancora scaricati. Si possono inviare file grandi, ma uno alla volta. Se avete un archivio di foto, dovete fare un file compresso.
Metto Google Drive nella categoria creazione contenuti perché la cosa che più apprezzo di questo servizio è la possibilità di scrivere, fare presentazioni, creare fogli di calcolo e tanto altro in modo condiviso. Non c’è niente di più comodo, quando lavori a un testo con un tuo collaboratore, del vedere in tempo reale le correzioni e le modifiche che vengono fatte. In più è accessibile da vari device e quindi è super comodo e versatile. Mi è capitato questa estate di aiutare mio padre con un documento che doveva stampare. Ho fatto al volo le correzioni tramite smartphone mentre ero fuori città: in un paio di click sono riuscito a raggiungere il mio scopo dal bar dove ero (e poi mi sono dedicato alla mia colazione). Poi Google Drive ti permette di allegare i contenuti alla tua casella di posta Gmail, poi c’è l’archiviazione e Dio solo sa quante altre cose fa! Tra l’altro, di recente ho scoperto che occupano spazio solo i file “esterni”, mentre quelli creati con gli strumenti Google no. Fateci caso!
Keep è uno strumento sempre di Google, che vi permette di prendere appunti. Io l’ho scoperto leggendo il libro di Bandiera e ne ho copiato l’uso che ne fa lui. Molto semplicemente ho il widget sul mio smartphone e lì scrivo tutto quello che mi passa per la testa (idee per nuovi articoli o podcast) e cose che mi colpiscono, che poi mi ritrovo in tempo reale sul mio computer. Ho quindi modo di avere sempre tutto a portata di mano senza fare copia incolla da un device all’altro.
Da tempo con Pocket ho un rapporto di odio e amore perché questa app può diventare il paradiso dei procastinatori. Pocket infatti vi permette di salvare un contenuto che trovate interessante e vi dà la possibilità di leggerlo successivamente. Si installa sul browser e si sincronizza con l’app presente sul vostro smartphone. Può diventare il paradiso dei procastinatori perché dentro ci possono finire articoli che deciderete di non leggere mai. Io, dopo un primo utilizzo spasmodico in cui salvavo tutto e non leggevo nulla, mi sono dato una calmata e ora riesco a gestire tutto con più tranquillità. C’è la possibilità di condividere il proprio archivio con altre persone e organizzare il tutto attraverso tag.
Anche Slack ha dei canali dedicati (come quelli di Telegram) ma devo essere sincero non li ho mai frequentati più di tanto. Uso Slack per ciò che è diventato famoso e cioè la gestione dei messaggi e delle discussioni su un particolare processo con i propri collaboratori. In più, le tante integrazioni lo rendono sempre più performante e una spanna sopra i competitor. Non vi nascondo la mia felicità quando ho scoperto che sullo smartphone silenziava in automatico le notifiche dopo una certa ora. Magari adesso è una funzionalità banale, ma quando l’hanno introdotta… wow!
Devo essere onesto, con Trello ho un rapporto di amore e odio e chi collabora con me lo sa. Lo uso, ma poi mi stanco e lo perdo di vista. Devo lavorarci, lo so. Anche perché la potenzialità di uno strumento simile è innegabile. Trello vi permette di organizzare i vari compiti e suddividerli tra i vari collaboratori. C’è la possibilità di commentare, modificare, e tanto altro. A me è capitato anche di utilizzarlo come to do list in vista di un evento: ho segnato le cose che dovevo fare e con chi. A mano a mano che le cose venivano fatte aggiornavo la board. È forse una forzatura, ma in quella occasione ha funzionato.
Già conoscevi questi strumenti? E tu? Cosa usi per lavorare? Quali sono gli strumenti che chi fa smart working dovrebbe usare? Fammelo sapere e aiutami a allungare questa lista!
Il Business Model Canvas è forse lo strumento più conosciuto da chi vuole mettere in piedi un progetto di impresa. In questo articolo abbiamo concentrato tutto quello che sappiamo su questo strumento: c’è il frutto della nostra esperienza personale e della lettura di Creare modelli di business, la traduzione italiana del libro che lo ha fatto conoscere al mondo. Parliamo nell’ordine:
Breve introduzione
Perché usare il Business Model Canvas
I nove blocchi del Business Model Canvas
Parte destra del Business Model Canvas
Parte sinistra del Business Model Canvas
Gli errori da evitare quando si compila il Business Model Canvas
Il Business Model Canvas può essere usato per tutti i tipi di business e in un qualsiasi fase di vita. È talmente potente che ne sono nate versioni per Enti No Profit con fini culturali osociali.
Il segreto del successo del Business Model Canvas è l’essenzialità delle informazioni che ti permette di immagazzinare, informazioni che vengono suddivise in nove blocchi che ritornano in ogni tipo di azione relativa all’esistenza di una organizzazione. Lo sa bene il suo ideatore Alexander Osterwalder che in una intervista ha specificato come il Business Model Canvas sia frutto di uno studio scientifico su diversi modelli di azienda che hanno permesso a lui e al suo team di individuare i nove blocchi e assegnare a ciascuno una posizione specifica. Da quando è stato inventato il Business Model Canvas è utilizzato in tutto il mondo, e ha generato una mole di tool adatti a ogni tipo di esigenza. Vediamo perché anche tu dovresti usarlo per il tuo progetto.
Perché dovresti usare il Business Model Canvas
Il Business Model Canvas ti permette di avere una fotografia completa e sintetica dello stato dell’arte di un progetto. Il suo segreto sta nella semplicità con cui si compila e nel quadro che – una volta terminato – restituisce. ATTENZIONE! Nonostante sia semplice non è infatti detto che debba essere compilato con semplicità. Solo inserendo i dati giusti questo strumento rivela tutta la sua potenza e utilità. In ogni caso, è uno strumento estremamente maneggevole che può essere aggiornato facilmente. Solitamente è il primo documento che si compila quando si ha una idea di impresa o si vuole implementare una nuova soluzione nella propria azienda. Viene fatto ancor prima del Business Plan e anzi, può rappresentarne una guida. È quindi importante compilare il Business Model Canvas con attenzione e con tutto il team, in modo da avere un quadro di insieme completo e condiviso. Io lo uso periodicamente su Start Me Up perché mi permette di capire lo stato dell’arte dell’intero progetto: una volta completato decido se e come modificare alcuni aspetti. Ma capiamo meglio come è fatto il Business Model Canvas.
I nove blocchi del Business Model Canvas
Il Business Model Canvas ha nove blocchi che possono essere raggruppati in due grosse macro aree: una a sinistra e l’altra a destra. Guardando il Business Model Canvas, notiamo che la parte di sinistra riguarda tutti gli aspetti interni a una azienda, ciò che non si vede ma che è fondamentale per produrre e portare a termine la propria mission (o sarebbe meglio dire il valore, ma lo spieghiamo tra un attimo). A destra c’è invece tutta la parte esterna all’azienda, riferita al modo con cui si ha intenzione di relazionarsi con la propria clientela. Non è una divisione fatta a caso. Pensiamo al nostro cervello e al modo in cui è organizzato. L’emisfero sinistro è quello dedicato alla logica, al ragionamento, a destra invece dominano le emozioni, le sensazioni. Sono due aspetti totalmente in linea con le divisioni create da Osterwalder e il suo team. Se infatti i rapporti con il proprio pubblico si basano principalmente sulle emozioni, è la logica che sta dietro alla strutturazione di un processo creativo/produttivo. Se invertissimo le due cose, avremmo serie difficoltà a far quadrare i conti.
Ma dicevamo dei blocchi. Sono nove in tutto e partendo da destra verso sinistra abbiamo:
Da quale blocco partire? Qui ci sono due scuole di pensiero. La persona che per prima mi ha introdotto al Business Model Canvas ha descritto come primo blocco quello del Valore, che è messo al centro non a caso. Il valore di un business è effettivamente il cuore dell’intero progetto che si intende analizzare attraverso questo strumento e tutti gli aspetti descritti negli altri otto blocchi sono profondamente connessi ad esso. In realtà, molti esperti e facilitatori, e gli stessi autori di “Creare modelli di business” che ha spiegato al mondo le potenzialità del Business Model Canvas partono dal blocco più a destra, quello cioè dei segmenti di clientela. La giustificazione di una scelta simile è data dal fatto che ogni prodotto e/o servizio nasce per soddisfare un determinato tipo di clientela. È perciò importante individuare il settore giusto a cui rivolgersi che possa – come è facile immaginare – riconoscerne il valore.
Parte destra del Business Model Canvas
Per comodità qui partiremo dalla parte destra del Business Modela Canvas, quindi dal segmento di clientela, per poi passare al valore e in seguito a tutti gli altri blocchi.
Segmenti di clientela
Qui è importante definire il target di clientela che si intende aggredire. Può essere definito sotto diversi aspetti: aspetti demografici, geografici, possibilità di spesa e tipologia di utilizzo che possono fare del nostro prodotto/servizio. È fondamentale ad esempio chiedersi se i loro bisogni giustifichino un’offerta distinta o se possono essere raggiunti attraverso canali diversi. I parametri scelti possono essere più di uno, ma manco a dirlo, devono essere rilevanti al fine del nostro business.
> A quali domande risponde questo blocco?
Per chi creo valore?
Chi sono i clienti più importanti?
Valore offerto
Il Valore Offerto è il motivo principale per cui il nostro target di clienti sceglie il nostro prodotto/servizio. È al centro del Canvas perché è il cuore del nostro progetto e ogni quadrante lavora in funzione di esso. Non va confuso con il valore economico, che ne rappresenta un aspetto e lo determina in parte. Il valore del nostro prodotto/servizio è quello che ci rende unici sul mercato, il motivo per cui i clienti ci preferiscono agli altri.
> A quali domande risponde questo blocco?
Che tipo di valore fornisco ai miei clienti?
Quale problema li aiutiamo a risolvere?
Quale bisogno dei miei clienti soddisfiamo?
In che modo?
Canali
I Canali servono principalmente per presentare ai clienti il valore offerto dal nostro prodotto/servizio, ma non solo. In “Creare modelli di business” gli autori individuano almeno altre quattro funzioni:
far crescere nei clienti la consapevolezza riguardo i prodotti e servizi offerti da un’azienda;
aiutare i clienti a valutare il valore offerto da un’azienda;
aiutare i clienti ad acquistare specifici prodotti e servizi;
fornire ai clienti un supporto post vendita.
Per facilitare l’individuazione dei canali della propria azienda è utile tenere a mente le cinque fasi che ogni cliente affronta nel momento in cui deve avere a che fare con il nostro prodotto/servizio:
la consapevolezza;
la valutazione;
l’acquisto;
la distribuzione;
il post-vendita.
> A quali domande risponde questo blocco?
Attraverso quali canali vogliono essere raggiunti i nostri clienti?
Quali funzionano meglio?
Quali sono quelli più efficienti a livello di costi?
Come si integrano con le abitudini dei clienti?
Relazioni con i clienti
Tra le relazioni con i clienti è necessario individuare tutte quelle azioni finalizzate:
all’acquisizione di nuovi clienti;
alla fidelizzazione di quelli esistenti;
all’incremento delle vendite.
Rientrano pertanto in questa categoria i servizi di customer-care ad esempio o quei dettagli che contribuiscono ad alimentare il cosiddetto effetto wow del nostro prodotto/servizio. Possono variare in base al numero dei segmenti di clientela che abbiamo individuato.
> A quali domande risponde questo blocco?
Che tipo di relazione intendiamo instaurare con i diversi segmenti di clientela?
Quali relazioni abbiamo già stabilito?
Prevedono un costo?
Flussi di ricavi
Il quadro dei flussi di ricavi chiude la parte destra del Business Model Canvas e serve a identificare le modalità con cui pensate di avere delle entrate. Non vanno perciò inserite delle cifre, ma è necessario individuare in che modo intendete alimentare dal punto di vista economico l’intero processo. I tipi di flussi di ricavi sono principalmente due:
Quelli che arrivano da transizioni che derivano da pagamenti in unica soluzione da parte dei clienti;
Quelli relativi a pagamenti continui derivanti dal valore offerto al cliente o dell’offerta di supporto post vendita.
Naturalmente, il non voler affrontare il discorso dei ricavi cifre alla mano è strettamente connesso al momento di analisi. Può sembrare banale specificarlo ma è bene sottolineare quanto fondamentale sia trovare dei flussi che permettano entrate superiori ai costi, così da mantenere in attivo il nostro prodotto/servizio. È un aspetto che può essere preso in considerazione anche successivamente (anche perché molto spesso, sopratutto in fase di startup, è necessario testare diverse soluzioni prima di trovare quella ideale), ma che comunque non va sottovalutato o, ancora peggio, ignorato.
> A quali domande risponde questo blocco?
Per quale valore i nostri clienti intendono pagare?
Per cosa pagano?
In che modo pagano?
Quanto contribuisce ai ricavi ogni flusso di ricavi?
Parte sinistra del Business Model Canvas
Veniamo adesso alla parte sinistra del Business Model Canvas, quella cioè dedicata ai processi “interni” della nostra azienda. È quella legata ai ragionamenti logici, ricordiamoci quindi che dobbiamo cercare di ottimizzare ogni aspetto così da ridurre i costi, senza inficiare il valore che intendiamo offrire al nostro segmento di clientela.
Risorse chiave
Le Risorse chiave sono gli strumenti che permettono alla nostra azienda di:
creare il valore offerto;
raggiungere i mercati;
mantenere le relazioni con i segmenti di clientela;
ottenere dei ricavi.
Rientrano in questo quadro tutte le risorse fisiche, finanziarie, intellettuali, umane che l’azienda può acquistare o prendere a noleggio. Da sottolineare: le risorse da elencare DEVONO essere “chiave”, cioè importanti per il lavoro dell’azienda, senza di esse non è possibile veicolare la proposta di valore.
> A quali domande risponde questo blocco?
Quali sono le risorse necessarie per veicolare il nostro valore?
Quali i nostri canali di distribuzione?
Le relazioni con i clienti?
Attività chiave
Se nelle risorse abbiamo individuato le “cose” che ci servono per veicolare il valore offerto, qui è necessario individuare le azioni necessarie a questo scopo. A grandi linee, possono essere categorizzate in:
produzione;
problem-solving;
creazione di una piattaforma e/o una rete.
> A quali domande risponde questo blocco?
Quali sono le attività necessarie per veicolare il nostro valore?
Quali i nostri canali di distribuzione?
Le relazioni con i clienti?
Partnership chiave
Parliamoci chiaro, una sola azienda non può fare tutto. Sarà pertanto necessario stringere delle partnership con altre aziende per ottimizzare i propri modelli di business, ridurre i rischi e acquisire risorse. Genericamente ne individuiamo di quattro tipi:
alleanze strategiche fra non concorrenti;
competizione collaborativa (partnership strategiche fra concorrenti);
joint-ventures per sviluppare nuovi business;
relazioni acquirente fornitore per assicurarsi fornitori affidabili.
> A quali domande risponde questo blocco?
Chi sono i nostri partner chiave?
Chi sono i nostri fornitori chiave?
Quali risorse acquisiamo da partner?
Quali attività chiave svolgono i nostri partner?
La struttura dei costi
Nella struttura di costi vanno inserite tutte le voci di spesa utili a sostenere il modello di business che abbiamo immaginato. Anche in questo caso, in questa fase le cifre ci importano poco, quello che realmente ci interessa è distinguere le strutture dei costi. Solitamente i modelli di business rientrano in due grandi classi:
quella basata sui costi;
quella basata sul valore.
> A quali domande risponde questo blocco?
Quali sono i costi più importanti del nostro business model?
Quali tra le risorse chiave sono quelle più costose?
Quali tra le attività chiave sono quelle più costose?
Una volta compilato anche l’ultimo blocco e fatti i dovuti aggiustamenti, sotto gli occhi dovreste avere il quadro completo della vostra azienda.
Gli errori da evitare quando si compila il Business Model Canvas
Stampare il Business Model Canvas in A4
Può sembrare una finezza, ma in realtà più lo schema che avrete davanti è grande, meglio vi troverete a lavorare con il Business Model Canvas. È decisamente sconsigliato stampare il Business Model Canvas in un foglio A4: troppo poco lo spazio. Vi confesso che anche in formato A3 io ho avuto qualche difficoltà. Una misura accettabile può essere quindi l’A2 o ancor meglio l’A1. Una volta per un workshop per sbaglio abbiamo stampato dei Business Model Canvas in A0: ci sono costati un botto, sono scomodissimi da portare, ma lavorarci è una goduria incredibile!
Ignorare che i Post it sono i migliori amici del Business Model Canvas
No, non si scrive direttamente sul Business Model Canvas, con la penna poi! Questo strumento nasce per essere flessibile e può capitare che una volta compilato un blocco ci si accorga che va cambiato qualcosa in quello compilato precedentemente. Il consiglio è quello di usare i post it, uno per ogni cosa scritta, mi raccomando! Ci permettono di essere estremamente flessibili e soprattutto ci aiutano, alla fine del processo, a selezionare gli elementi più importanti per ogni blocco (come? Lo vedremo in un altro articolo).
Ad esempio, se ci sono più segmenti di clientela a cui è necessario dedicare azioni e/o risorse specifiche come possiamo graficamente organizzare le nostre azioni? In questo caso basterà aiutarsi con post it di colore diverso così da avere a colpo d’occhio la distinzione necessaria per orientarsi.
In più, le aziende sono vive e possono cambiare: lo stesso vale per il Business Model Canvas. Magari nel giro di sei mesi capite che un determinato segmento di clientela non è realmente interessato al valore che offrite e allora sarà necessario cambiare qualcosa in uno dei due quadranti. E successivamente dovrete verificare se nel resto dei quadranti sia necessario modificare qualcosa.
Se scrivete direttamente sul Business Model Canvas rischiate di trasformare tutto in un enorme pasticcio: i post it vi permettono di mantenere tutto in ordine. I post it sono i migliori amici del Business Model Canvas.
Considerare i blocchi del Business Model Canvas singolarmente
Spesso quando si compila il Business Model Canvas si tende a considerare i vari blocchi singolarmente. È un errore e non bisogna farlo mai! Si rischia di inficiare tutto il lavoro e questo strumento perde del tutto il suo significato. È lo stesso Alexander Osterwalder a metterci in guardia con un esempio. Pensate all’iPod: se tra i partner chiave non avesse avuto le case discografiche non sarebbe stato l’oggetto rivoluzionario che è stato! E il suo valore sarebbe stato certamente inferiore rispetto a quello percepito dal proprio segmento di clientela.
Non usare abbastanza il Business Model Canvas
Per capire al meglio il Business Model Canvas è necessario frequentarlo il più possibile. L’invito è quello di utilizzarlo quanto prima. La Strategyzer offre anche dei corsi ma in realtà è uno strumento talmente semplice che anche con solo un po’ di pratica è possibile maneggiarlo al meglio. Qui trovate il template al pdf che potete scaricare e iniziare a usare. Mentre in questo video ci sono esempi di Business Model Canvas (dovrebbe iniziare al minuto 10:25).