Puntare allo scale up? Serve la consapevolezza che arriva dall’esperienza.



È innegabile che oggi, chi inizia a mettere in piedi una startup ha a disposizione molti più strumenti per farlo. E spesso una diversa consapevolezza che permette a chi avvia un progetto di impresa di immaginare il percorso che dovrà affrontare. Non è solo vision, ma lungimiranza, utile per colmare i vuoti che il percorso immaginato prevede. Soprattutto se si pensa di voler passare da startup a scale up.

È il caso dell’ospite della puntata di questo nuovo podcast, cioè Adriana Santanocito. Adriana, forte dell’esperienza maturata con la sua prima startup, ha dato vita a Ohoskin immaginando una struttura che permettesse a questo progetto di crescere rapidamente. C’entra l’Open Innovation, la sostenibilità, l’amore per il Sud Italia e una certa idea di lusso. Adriana racconta tutto questo nel nuovo podcast targato Start Me Up e possibile anche grazie alla collaborazione di Valentina Sorgato di SMAU.


Ascolta Start Me Up dove e quando vuoi


Ohoskin: guilty-free, economia circolare e sostenibilità.

Ohoskin è un materiale bio-based creato dal sottoprodotto delle arance e del cactus. Si presenta come alternativa alla pelle e a quei prodotti che vengono identificati come “pelli sintetiche”. Può essere perciò destinato al mercato dell’automobile in quanto materiale perfetto per il rivestimento degli abitacoli.

Rispetto alla pelle ordinaria e a quella sintetica, Ohoskin è guilty-free, rappresenta un perfetto modello di economia circolare e fa della sostenibilità un vero e proprio mantra.

Guilty-free perché non nuoce a nessuno visto che si lavora su scarti della lavorazione di arancia e fico d’india, senza perciò colpire nessun essere animale. In più, il materiale utilizzato per la creazione di Ohoskin sarebbe destinato al macero e quindi il suo uso è un perfetto esempio di economia circolare. Tutto ciò dimostra la sostenibilità di Ohoskin che si pone come sostituto green per un mercato, quello del lusso, i cui standard, per definizione, sono di alta qualità.

Ohoskin, sostenibile, crueltyfree e al centro dell'economia circolare

Ohoskin: un perfetto modello di Open Innovation

Ma l’impatto innovativo di Ohoskin non si ferma alla sostenibilità. Il progetto nasce con l’intento di rispondere sin da subito alla richiesta che il mercato potrebbe farne e supportare così questa startup nella successiva fase di scale-up. Ohoskin si avvale infatti della collaborazione di altri due soggetti: Sicilinbiotech e Novartiplast Spa.

Sicilinbiotech è una filiera di produttori agricoli creata ad hoc per garantire a Ohoskin la materia prima da lavorare. Questo facilita l’accesso al materiale grezzo, riducendo le interlocuzioni e avendo solide garanzie sulla qualità di ciò che viene consegnato.

Novartiplast invece è un’azienda lombarda che sin dalla sua fondazione si è occupata di pelli sintetiche. A lei è affidato il compito di realizzare il prodotto finale, utilizzando il materiale lavorato da Ohoskin.

Una filiera che attraversa tutta l’Italia e che ben rappresenta quella collaborazione tra startup e aziende più solide che prende il nome di Open Innovation.

Non è un caso che Ohoskin sia stata selezionata per partecipare all’edizione milanese di SMAU. La fiera dell’innovazione nasce come punto di contatto tra le aziende e da tempo promuove il modello di Open Innovation.

Lo ha fatto anche a Milano, dove Mind The Bridge ha presentato “Open Innovation Outlook Italy 2022”, un report realizzato in collaborazione proprio con SMAU.
Per quanto confortanti, i dati presentati mostrano che in Italia c’è ancora molto da lavorare sul concetto di Open Innovation (nel podcast facciamo una breve sintesi, altrimenti il report completo può essere scaricato gratuitamente qui).

La citazione di Adriana di Ohoskin su lusso e consapevolezza

Il trend positivo è stato evidenziato anche dall’edizione di ottobre della fiera. Valentina Sorgato, Ad di SMAU, ha infatti dichiarato che durante l’evento milanese sono state coinvolte attivamente cento aziende, più di cento erano invece le startup presenti tra gli stand e ci sono stati più di trecento incontri organizzati durante la manifestazione.

Una certa idea di lusso

All’inizio della presentazione di questo podcast abbiamo sottolineato la capacità di Adriana Santanocito di prevedere i possibili vuoti del percorso di Ohoskin e cercare di porvi rimedio già nella strutturazione dell’idea di business. Sono dettagli che spesso è l’esperienza a suggerirti.
Lo sa bene Adriana che viene da un percorso di successo con il suo primo progetto, Orange Fiber (di cui è ancora proprietaria seppur non ricopra nessuna carica operativa), a cui deve tanto in termini di soddisfazioni. Un’esperienza che ha permesso ad Adriana di sviluppare un’idea di lusso legata al benessere di tutti e non tanto a qualcosa di costoso. E le ha dato quella consapevolezza che ha deciso di mettere al servizio di un nuovo progetto votato a un’idea di sostenibilità propria di chi guarda al futuro con fiducia.


Ascolta Start Me Up dove e quando vuoi


Questo podcast è realizzato grazie a:


> Se ti piace quello che hai ascoltato e vuoi che le storie del Sud Italia che innova continuino ad essere raccontate sostieni Start Me Up attraverso Patreon o Satispay!

> Iscriviti a Satispay con il codice promo STARTMEUP e ottieni 2 euro sul tuo account! Per info e dettagli, clicca qui.


Foto di copertina di Jeremy Thomas via Unsplash.

Trovare il potenziale dove mancano le infrastrutture



In questo podcast assumiamo una prospettiva inedita. Con noi Eythor Jonsson, docente presso la Copenhagen Business School ed esperto di innovazione: durante la sua carriera ha accompagnato nel percorso di impresa startup e scaleup attraverso la creazione di programmi specifici.
Eythor Jonsson negli anni si è specializzato nella creazione di valore in zone povere di infrastrutture ma ricche di potenziale. Ha operato principalmente nel Nord Europa e la sua esperienza non è poi così lontana da chi, alle nostre latitudini, lavora affinché innovazione e impresa producano un impatto reale sulla vita delle persone.

Metà docente e metà imprenditore: la doppia carriera di Eythor Jonsson

La carriera di Eythor Jonsson si divide tra le lezioni alla Copenhagen Business School dove ha due corsi focalizzati sull’imprenditoria e i progetti dedicati al mondo dell’impresa. Nella prima parte del podcast raccontiamo il Growth Train Project, un acceleratore/incubatore dedicato a idee del foodtech e agritech focalizzato nella parte meridionale della Danimarca che Eythor e il suo gruppo ha ideato qualche anno fa.
Ci facciamo quindi spiegare come cambia il suo approccio con i suoi studenti/corsisti e quali sono le metodologie che utilizza, come ad esempio la gestione per Obiettivi Chiave. In più Eythor ci svela anche i risvolti di una carriera divisa a metà tra lezioni e imprenditoria: una condizione che ha in sé uno dei possibili scenari sul futuro dell’educazione.

E quindi come si parla di innovazione in posti con poche infrastrutture?

Nella seconda parte del podcast chiediamo a Eythor quelli che sono i suoi trucchi del mestiere. Come suscitare l’ispirazione in chi vuole fare impresa? Ma ancora più importante: come riconoscere il potenziale in una persona o in un luogo? Prima delle competenze e/o degli investimenti, c’è il fattore cultura su cui agire: ad esempio, mettere in una luce diversa il fallimento (noi un’idea ce l’abbiamo). E poi il rapporto con gli amministratori, che se parliamo di ecosistemi, non possiamo ignorarli…

La citazione di Eythorn sul potenziale

Nell’ultima parte del podcast infine, si passa ai territori. Ad esempio: come si esce dal loop “non c’è sviluppo perché non ci sono le infrastrutture e non ci sono le infrastrutture perché non c’è sviluppo”? Che è un piccolo mantra dalle nostre parti. E poi, Nord e Sud Europa, cosa possono imparare l’una dall’altra? La risposta non è poi così scontata, soprattutto nell’ottica di un ecosistema startup europeo su cui Eythor ci dice la sua.

Da non dimenticare

  • La traduzione voce italiana di Eythor è di Francesco Rigoni, che ci ha dato una mano anche con la traduzione.
  • Qui parliamo di “Fai di te stesso un brand” e qui è dove Scandellari non se la prende a male quando lo definiamo fratello maggiore.
  • Infine qui ci sono tutte le novità inerenti al gruppo Telegram che è sempre aperto a chiunque voglia supportare Start Me Up.

Questo podcast è realizzato grazie a:


> Fai la tua donazione a Start Me Up su Patreon o Satispay ed entra a far parte della community degli innovatori del Sud Italia!

> Commenta questo podcast sul gruppo facebook di Start Me Up.

> Iscriviti a Satispay con il codice promo STARTMEUP e ottieni 2 euro sul tuo account! Per info e dettagli, clicca qui.

foto di copertina di Thomas Kelley via Unsplash

Scaleup vs startup: è solo una questione di fatturato?

Facciamo un test: quanti di voi hanno sentito nell’ultimo periodo il termine Scaleup? Se siete nostri ascoltatori affezionati dovreste averlo ascoltato nell’ultimo podcast che abbiamo pubblicato prima di questo post: abbiamo parlato di Kineton, che è appunto, una scaleup campana. E sapete quali sono le caratteristiche di una scaleup? E perché non è una startup?

Abbiamo fatto qualche ricerca.
Innanzitutto come si scrive: scaleup, tutto attaccato, non sono due parole.

Secondo la versione inglese di Wikipedia – che cita l’Eurostat-OECD Manual on Business Demography Statistics – una Scaleup company è

una società che negli ultimi 3 anni ha registrato un rendimento medio annuale di circa il 20% e può contare almeno 10 dipendenti.

Già nel 2014 Alberto Onetti di Mind The Bridge aveva espresso la necessità di definire cosa fosse una scaleup. Lo faceva dalle pagine del blog di SEP (Startup Europe Partnership) di cui Mind The Bridge fa parte. In quell’articolo leggiamo che una scaleup è

una azienda in fase di sviluppo, che appartiene al mercato dell’alta tecnologia, e che vuole crescere in termini di accesso al mercato, ricavi e numero di dipendenti, apportando valore grazie all’identificazione e realizzazione di progetti di successo con compagnie già consolidate.

È quindi, se vogliamo, una definizione ben specifica che identifica il settore di appartenenza (alta tecnologia) e il fattore “crescita” che passa dalla collaborazione con una grossa azienda già consolidata sul mercato.

Che differenza c’è tra una scaleup e una startup?

differenze tra due cose come ad esempio startup e scaleup

Da questo primo paragrafo è abbastanza semplice definire quindi una linea di demarcazione tra le startup e le scaleup. Sicuramente c’è una differenza di fatturato: se la startup è alla ricerca del modello di business che le permetta di stare in piedi, la scaleup il suo lo ha già consolidato. Inoltre, chi lavora alla propria startup dovrà identificare la propria nicchia di mercato, dovrà molto probabilmente lavorare sul proprio prodotto e/o servizio, adattandolo alle richieste dei nuovi utenti, immaginare di spostarsi su altri mercati e così via…

La scaleup ha superato questa fase ma non dorme certo sogni tranquilli: se infatti ha già consolidato il suo modello di business ed è riuscita a identificare una propria nicchia di mercato sulla quale ha costruito la sua reputazione deve capire come mettere a frutto ciò su cui ha lavorato. Può, ad esempio, sperimentare collaborazioni con grosse aziende a cui vendere o il proprio servizio/prodotto o le proprie competenze.

Le differenze tra startup e grosse aziende

Se volessimo semplificare ulteriormente, potremmo citare l’articolo scritto da Julie Zhuo, che su Medium ha sintetizzato i punti che differenziano una startup da una grossa azienda. Non li scriverò tutti qui, ma copierò solo quelli che mi sono piaciuti di più.

Una startup vive per un solo e unico obiettivo: realizzare qualcosa che abbia un valore talmente alto che spinga le persone a volerlo usare. Per questo, scrive sempre Julie Zhuo, le startup sono portate a correre grossi rischi nel loro breve ciclo di vita (diffidate sempre da chi ha una startup da più di tre anni!!!). Da qui si capisce come startup sia più uno stile di vita che un lavoro vero e proprio.

Di contro, le grosse aziende hanno già un prodotto che ha permesso loro di avere una posizione all’interno del mercato: per questo motivo non possono correre troppi rischi ma possono testare più a lungo una nuova soluzione su diversi ambiti (prodotto, organizzazione aziendale, ecc…). Inoltre, gestiranno i progetti e le persone in maniera diversa: avendo già un margine di guadagno saranno in grado di alzare l’asticella del proprio lavoro puntando su una comunicazione interna più efficace o investendo sui propri dipendenti.

Sul passaggio da startup a scaleup vi consiglio di leggere quello che ha scritto Joel Gascoigne, founder di Buffer, che racconta di come lui e i suoi collaboratori hanno gestito questa trasformazione all’interno dell’azienda.

Quali sono le scaleup al Sud Italia?

Come nel resto del Paese anche il Sud Italia ha le sue scaleup che una volta nate hanno aperto uffici in altre parti del mondo. La prima che vi segnalo è Kineton, di cui abbiamo parlato nel podcast pubblicato qualche giorno fa. Sempre in Campania troviamo Buzzoole la piattaforma di influencer marketing che poco meno di un anno fa con un’operazione di rebranding e un aumento di capitale entrava di fatto tra le scaleup italiane. Poi c’è la romana Manet che offre servizi tecnologici alle strutture ricettive e che in questi ultimi mesi sta avendo un grosso successo anche a causa della crisi del suo competitor principale.

Per avere un panorama più completo sulla situazione europea vi segnalo il report realizzato da Mind The Bridge che può essere scaricato gratuitamente da qui.

Ora arriva il tuo turno!

Io intendo questo articolo come il punto di partenza di una discussione che può nascere qui o sui canali di Start Me Up: cosa ho dimenticato? C’è qualche imprecisione secondo te? Commenta e condividi il tuo pensiero con gli altri!

Foto di copertina di Austin Ban via Unsplash