Per creare un prodotto o un servizio che abbia successo non dobbiamo concentrarci sul prodotto o il servizio, bensì sugli utenti. È un mantra che chi frequenta questo blog e ascolta il podcast dovrebbe conoscere bene.
Ci sono una serie di metodologie che ci permettono di immaginare chi sono le persone che potranno usare il nostro servizio/prodotto: tra queste, la empathy map, occupa un posto particolare.
La empathy map è lo strumento che permette a chi produce un prodotto/servizio di immaginare le sensazioni provate dal consumatore finale quando interagisce con esso. È stato creato da David Grey con lo scopo di identificare le sensazioni negative e positive dell’utente, permettendo così al produttore di poter minimizzare i primi ed esaltare i secondi.
ATTENZIONE! Molti confondono la empathy map con le buyer personas. In realtà i due strumenti sono complementari. Perché se le personas aiutano chi progetta prodotti/servizi a tenere a mente un determinato target, attraverso le empathy map si possono intuire i pensieri di queste persone e comprendere le loro emozioni.
Come? Vediamolo insieme!
Cosa è la empathy map?
Online è possibile trovare numerose definizioni della empathy map. Quella che credo sia più calzante è di Lindsay Munro, del team Adobe. Lei scrive (la traduzione è mia):
“La empathy map è uno strumento di visualizzazione usato per fissare su carta ciò che un team che si occupa dello sviluppo di un prodotto conosce di un utente. Questo strumento aiuta il suddetto team ad avere una comprensione maggiore dei motivi che stanno dietro ai bisogni e ai desideri degli utenti.
Grazie alla empathy map, chi progetta, sposta la propria attenzione dal prodotto che si intende creare ai bisogni reali delle persone che useranno quel prodotto. Questo tipo di approccio può essere definito design empatico.
L’azione di mettere tutte queste informazioni all’interno di uno schema, permette a chi si occupa dello sviluppo del prodotto di avere una visione più olistica del mondo dell’utente e dei suoi problemi, identificando così le possibili opportunità da cogliere.”
Perché si usa la empathy map?
Lo scopo principale di una empathy map è quindi avere una comprensione maggiore delle persone con cui il prodotto o servizio che proponiamo interagiscono, i cosiddetti stakeholder. Il gioco permette di immaginarli all’interno di un contesto specifico (ad esempio quando acquistano il nostro prodotto o quando provano un nostro servizio) e aiuta così a immaginare quali sentimenti potrebbero provare.
Naturalmente il livello di empatia che può essere raggiunto grazie a questo strumento dipende da come viene utilizzato. Lo spiega il creatore di questa mappa, Dave Gray, secondo il quale una sessione di empathy map non dovrebbe durare più di 20 minuti. Questo presuppone che il team che vuole usare questo strumento, abbia una buona conoscenza del target e dei processi che intende esaminare.
In più la empathy map serve anche ad allineare tutto il team su una stessa idea di utente. Sembra un aspetto banale ma spesso alcuni problemi nascono proprio da una diversa concezione che i membri di uno stesso team hanno del target del prodotto.
Come si usa la empathy map?
Per capire come usare in concreto la empathy map facciamoci guidare ancora una volta dal suo ideatore e da ciò che ha scritto su Medium all’indomani di un aggiornamento della empathy map.
Clicca sull’immagine per scaricare il pdf della emapthy map
Si inizia in alto a sinistra dalla sezione Goal: qui andrà indicato il soggetto al centro della nostra analisi e una situazione specifica che andremo ad analizzare. ATTENZIONE! La situazione da analizzare deve essere “osservabile”.
Una volta stabiliti i punti 1 e 2 si lavora sugli altri quadranti procedendo in senso orario. Si registrano così i comportamenti esterni (cosa vedono, cosa dicono, ecc…) e solo dopo averli fissati sulla mappa si passa a ciò che c’è dentro la testa della persona.
Qui si inserisce ciò che l’utente prova, lasciandosi guidare naturalmente da tutti gli elementi elencati in precedenza. Questa è la fase più importante di tutto il processo.
“La grande testa al centro è uno degli aspetti più importanti del design della mappa. – scrive Dave Gray – Infatti quando abbiamo iniziato a idearlo chiamavamo questo esercizio “La grande testa” perché l’idea di base era di immaginare com’è essere dentro la testa di qualcun altro”.
Come già scritto, per compilare a dovere una empathy map è necessario aver studiato in precedenza il target. Sarah Gibbons, chief designer di NNgroup, consiglia cinque azioni da compiere prima di mettersi davanti a questo strumento.
La prima cosa da fare è ovviamente definire il proprio obiettivo e cosa si intende scoprire, andando così a definire quale utente e quale situazione si andrà ad analizzare.
È poi importante trovare tutti quei materiali che possano essere utili nella compilazione della empathy map. Nel video Gibbons parla proprio di recuperare una copia della mappa, i post-it (nel caso in cui la sessione si dovesse svolgere dal vivo) oppure organizzare l’evento attraverso tool online come Mural, Miro o una Jamboard di Google.
A questo punto non resta che iniziare la ricerca. È necessario in questa fase condurre interviste con i diretti interessati, organizzare sessioni di osservazione diretta dei comportamenti e raccogliere tutti questi dati in modo da avere una prima idea del campo in cui intendiamo muoverci.
Secondo Gibbons, arrivati a questo punto, ogni membro del team dovrà in autonomia costruire una prima ipotesi su come riempire gli spazi della empathy map e successivamente esporla agli altri membri del team.
Infine, a questa fase divergente ne seguirà una convergente, durante la quale il team verrà a capo della soluzione finale.
Per saperne di più sulla empathy map
Per scrivere questa breve guida sulla empathy map ho consultato:
Lo ammetto: Instagram non è la mia passione. Ci passo poco tempo, e per quanto le stories mi tengano incollato allo schermo più del previsto, non sono un grande fan di questo social. Nonostante questo però ho aperto il profilo di Start Me Up perché lo ritengo comunque in linea con il target di riferimento del programma. E quindi ho anche io a che fare con la annosa questione della gestione ottimale di questo canale.
Ho fatto alcune ricerche per capire se esistessero dei metodi che mi potessero aiutare e tra le varie strategie di crescita che ho trovato mi ha incuriosito il metodo 1.80$ formulato da Gary Vaynerchuk (il “Kim Kardashian degli influencer”, come ho letto su reddit).
Come funziona il metodo 1.80$
Il metodo 1.80$ non prevede un pagamento. Il denaro da cui prende il nome si riferisce ai fantomatici 2 cent, intesi nel gergo anglosassone come la mia (umile) opinione. Avete già intuito come funziona? Ve lo scrivo:
La prima operazione prevista dal metodo 1.80$ è trovare i 10 hashtag più popolari del settore in cui si opera. È questa la fase forse più complicata, a detta dello stesso Vaynerchuk, dell’intero processo. Per trovare gli hashtag bisogna infatti cercare tra i post più influenti degli account che “dominano” il settore e fare un paio di esperimenti.
Una volta trovati gli hashtag è necessario andare alla ricerca dei 9 post con più commenti, 9 per ogni hashtag. Vaynerchuk ci tiene a precisare che non importa quanti like o follower abbia il proprietario dell’account, il parametro da tenere d’occhio è la quantità di commenti che quel post è stato in grado di generare: se ne ha tanti è il momento di agire.
Agire? Perché fino ad ora cosa abbiamo fatto? Agire nel senso che è arrivato il momento di lasciare i nostri fantomatici 2 cents: un commento, un pensiero, una domanda o ancora meglio, una risposta se qualcuno chiede qualcosa. Sono da escludere i commenti lampo tipo “Bel post” o quelli con un paio di emoji.
Il senso del metodo 1.80$ è distribuire valore attraverso Instagram, non solo attraverso i propri post o stories, ma anche tramite le interazioni che generiamo.
Pensateci, se moltiplicate 2 cent per 9 quanto fa? Bravi 1.80! Così vi ho spiegato anche il perché del nome.
Si ma, funziona per davvero il metodo 1.80$? La parola all’esperto!
Il primo dubbio che ho dovuto sciogliere è stato se il metodo fosse ancora valido visto che l’articolo pubblicato da Vaynerchuk risale al 2018. Seppur infatti non stiamo parlando di un secolo fa, ho pensato a tutte le novità che in questi pochi anni Instagram ha implementato.
Mi sono fatto così un giro online e a quanto pare sì, c’è addirittura un tool che si chiama dollareighty.com (ed è a pagamento).
Sono un po’ diffidente di natura e non conoscendo bene il mondo di Instagram ho chiamato in causa un “esperto”. E chi se non Salvatore Borzacchiello aka @borzac, admin di @igersitalia e community manager di @igers.calabria. Quando ho chiesto a Salvatore un commento sul metodo 1.80$ mi ha confessato che lui lo ha sempre utilizzato da quando “frequenta” Instagram. Nel senso che Vaynerchuk ha di fatto messo a sistema il comportamento che chi utilizza Instagram dovrebbe adottare. Salvatore infatti scrive:
“Con questo metodo Gary Vaynerchuk non fa altro che spiegare all’utente che vuole far crescere i numeri dei seguaci e, ancora più importante, il famigerato engagement del proprio account, come è facile sfruttare l’algoritmo di Instagram attraverso il rilascio di quelli che lui chiama 2 cent, ovvero le interazioni. È risaputo che più si interagisce con commenti e like a post, storie e reels, più si avrà una risposta negli stessi termini sui propri account.
Questa, a conti fatti, è la strategia che ho utilizzato sin dalle mie prime apparizioni su Instagram (prima ancora che Gary Vaynerchuk la formulasse in questi termini), sia con il mio account personale che con quelli che gestisco per la community di IgersItalia. Sfrutto cioè, non in modo così calcolato, le reali interazioni con le persone e le aziende che abitano il social network, assecondando, anche inconsciamente, il volere degli sviluppatori di Instagram”.
Salvatore fa giustamente il paragone con altre strategie di crescita su Instagram che si basano su tecniche a pagamento o che sono considerate poco “etiche” come ad esempio l’utilizzo di bot.
Il ricorso ai bot è stato condannato “dagli stessi sviluppatori di Instagram – spiega Salvatore – che ne hanno cambiato l’algoritmo, facendo precipitare le performance dei contenuti postati. Come conseguenza di ciò tanti utenti hanno deciso di utilizzare pratiche scorrette come il follow/unfollow”.
Conclusioni
Mi sembra quindi abbastanza chiaro che il metodo 1.80$ non è altro che una schematizzazione di ciò che, su carta, dovrebbe essere Instagram: un luogo in cui condividere valore attraverso i propri post e le proprie interazioni.
Ciò che ci vedo di buono (almeno per quello che è la mia esperienza) è la possibilità che il metodo 1,80$ mi dà di pormi degli obiettivi chiari nella gestione di Instagram, non solo in termini di risultati, ma anche di azioni e tempo da dedicare a questo canale. Senza andare alla cieca e senza accanirmi sui miei account, so cosa fare giorno dopo giorno.
I risultati? I numeri dell’account di Salvatore fanno ben sperare, ma non escludo un nuovo articolo tra qualche mese per aggiornarvi su quello che sarò in grado di fare con l’account di Start Me Up.
Chi fa impresa sa bene quanto importante sia aggiornarsi e migliorarsi continuamente. Il web viene in nostro aiuto offrendoci una serie di possibilità. Sono però talmente tante che spesso c’è da perdersi. Ma qui entriamo in gioco noi di Start Me Up. Da qui in avanti, ogni mese, contiamo di selezionare per voi una serie di corsi, e-book a tema crescita personale.
Sono risorse trasversali sia per temi che per modalità di accesso, principalmente in lingua inglese. Lavoreremo comunque per trovare qualcosa anche in italiano. Questo mese ve ne presentiamo nove. Li ha selezionate per noi Thamara Emanuele appassionata di crescita aziendale, talent management e sostenitrice della prima ora di Start Me Up.
Se volete suggerire qualche portale o i temi su cui concentrarci, ci trovate qui!
Personal development Plan
È un workbook che ti guida nella creazione di un piano di sviluppo personale. Lo fa passo passo: il tutto è supportato da templates ed istruzioni specifiche. Il Personal development Plan è stato realizzato da Mind Tools, uno dei portali più popolari al mondo per l’apprendimento professionale e la gestione.
Lingua: Inglese
Accesso: gratuito, previa iscrizione alla newsletter
Coffee notes per i tuoi meeting
Un pratico template che ti aiuta a prepare il tuo prossimo meeting con investitori, partners o collaboratori. È un file Google Drive ed è stato realizzato da Howard Grey, coach londinese che vive a New York.
Fondo è uno strumento che ti aiuta a mappare le tue capacità, individuare le tue possibilità ed esplorare nuovi percorsi professionali. Lo fa in modo visivo così da permetterti di “visualizzare” la tua carriera.
The Pillow toolkit aiuta le persone che per lavoro si trovano a condividere idee innovative. Attraverso un set di strumento ed un processo strutturato ti aiuterà a organizzare al meglio il modo in cui pensi, misuri e condividi le tue idee.
In un’unico portale una serie di risorse pensate per chi lavora da remoto. Gli strumenti che trovate in questo portale vi permetteranno di migliorare aspetti chiave che chi lavora da casa affronta quotidianamente. Si va dalla produttività ai modi migliori per diffondere una cultura aziendale anche se non si condivide lo stesso ufficio, passando per la leadership e l’ideazione e la creazione di nuovi prodotti. Nonostante la complessità e la quantità di risorse offerte il portale si presenta scarno e adatto alla ricerca. Remotely in Business è un progetto di Stefan Palios che potete seguire su Twitter.
Se state pensando di migliorare le vostre competenze in ambito IT allora Pluralsight è il posto che fa per voi. Pluralsight è la piattaforma e-learning che offre corsi per sviluppatori, programmatori, IT e creativi. I corsi sono a pagamento ma è possibile usufruire di un periodo di prova di 10 giorni.
Un’alternativa gratuita e focalizzata solo sul linguaggio Phyton è offerta dall’Università di Toronto attraverso la piattaforma Coursera. Il corso promette di insegnare le basi di programmazione e il linguaggio Phyton. Al termine viene rilasciato un attestato di partecipazione.
Shape-up è un e-book pensato per quelle persone che lavorano allo sviluppo di prodotti e faticano a rispettare i propri tempi di lavoro. Sul sito Basecamp – che ha prodotto questo volume – scrive che “Shape Up ti aiuterà a liberarti dalle “migliori pratiche” che non funzionano”.
Un corso gratuito pensato per i manager che vogliono offrire ai propri dipendenti dei pareri sempre motivanti. Partendo da cosa caratterizza un feedback positivo, il corso vi permetterà di comprendere i modi migliori per parlare ai vostri dipendenti e collaboratori.
Mi prendo la libertà di usare la prima persona singolare perché in questo post voglio consigliarvi nove strumenti che potete usare per mettere in pratica lo smart working, che poi in realtà è un modo erroneo per dire lavoro da remoto (lo spiego qui). Posso tranquillamente affermare di avere ormai una certa confidenza nel lavoro da casa, dedicando le mie giornate a progetti che porto avanti da solo o in gruppo. Sono un esperto? In un certo senso, anche se non me la sento di dare una definizione di smart working e sul perché non possiamo (o meglio, non dobbiamo) definirlo lavoro da remoto. Lascio ad altri la parola, che ne sanno, di gran lunga, molto più di me.
Quello che però mi sento di condividere con tutti voi sono gli strumenti che solitamente utilizzo nel mio quotidiano e mi permettono di avere sempre a portata di mano ciò che mi serve ovunque io sia. Li ho divisi per ambito così è più facile la consultazione e SPOILER SPOILER non troverete niente sulla programmazione perché, come potete immaginare, non sono un programmatore.
È il fratello russo di Whatsapp che offre una serie di funzionalità in più rispetto al software acquistato dal buon Mark. Io lo uso principalmente per gestire la community riservata a chi sostiene Start Me Up ma lo uso anche per i canali tematici che puoi trovare al suo interno. Ne seguo alcuni dedicati all’innovazione e alle startup, ma anche altri legati alle cose che mi piacciono, come ad esempio i libri e i film. Se quindi da una parte mi permette di gestire i messaggi di “lavoro” (solitamente per i messaggi privati e personali uso WhatsApp), Telegram per me è anche una fonte di contenuti e spunti che uso per tenermi aggiornato.
Scoperto qualche anno fa, me ne sono innamorato quando, dopo l’ennesima videoconferenza traballante su Skype, ne ho potuto saggiare la stabilità e velocità. Zoom vi permette di organizzare video conferenze sia audio che video, vi dà la possibilità di condividere gli schermi e di poter selezionare la schermata che vi interessa (non solo quindi il vostro monitor ma anche solo la pagina del browser che in quel momento avete aperta). Inoltre non ha tutte le funzionalità “social” che Skype ha messo su e che onestamente trovo abbastanza inutili. I partecipanti accedono alla conferenza tramite link e oltre al video hanno una chat che permette loro di parlare a tutti o scegliere solo alcuni destinatari. La cosa migliore è che Zoom vi fornisce – se lo volete – la registrazione della conferenza, ma mica una sola! Vi dà la registrazione audio/video, quella solo audio generale e quella audio singola per ospite. E per chi si occupa di audio editing sa quanto sia importante avere le tracce audio suddivise. In più ha una gestione ottima della regia (il sistema riconosce chi parla e lo “inquadra” automaticamente). C’è una versione a pagamento, ma anche quella free, sono certo, vi soddisferà parecchio.
Prima di scrivere questo articolo pensavo che Dropbox fosse figlio diretto di drop.io, servizio di file sharing che mi aiutò a contenere la mia ansia ai tempi della scrittura della tesi quando, a fine giornata, finita la stesura quotidiana salvavo il file sul pc, su una pen drive e su drop.io (che metti che perdo la pen drive e mi rubano il computer?!?!?). E invece scopro da Wikipedia che drop.io è stato acquisito da Facebook e poi chiuso (tristezza!) in cambio di un posto di lavoro offerto a Sam Lessin, l’ideatore del servizio (vile denaro!).
Ma dicevamo Dropbox. Dropbox è quel servizio che vi permette di avere i vostri file sempre a portata di mano: un hard disk portatile accessibile da qualsiasi device. Io lo uso per le card che faccio per Start Me Up e che vanno condivise tramite social ma anche per trasferire le foto dal telefono al pc (non mi va di dare anche questi dati a Google). Dropbox vi dà anche la possibilità di condividere una cartella con altre persone. Occhio se lo fate perché una volta io ho condiviso una cartella con persone poco esperte che – pensando di fare spazio sul proprio telefono – ne hanno cancellato tutto il contenuto e abbiamo perso i file. Ops!
Se lavorate con file di dimensioni molto grandi allora avrete già usato questo servizio. Grazie a Wetransfer riuscite a condividere file grandi fino a 2GB (se usate la versione gratuita) inviando una semplice mail al destinatario. Nella mail c’è il link da cui il suddetto contenuto può essere scaricato. I file restano online per un certo periodo di tempo e il servizio avvisa periodicamente sia il mittente che il destinatario della presenza dei file che devono essere ancora scaricati. Si possono inviare file grandi, ma uno alla volta. Se avete un archivio di foto, dovete fare un file compresso.
Metto Google Drive nella categoria creazione contenuti perché la cosa che più apprezzo di questo servizio è la possibilità di scrivere, fare presentazioni, creare fogli di calcolo e tanto altro in modo condiviso. Non c’è niente di più comodo, quando lavori a un testo con un tuo collaboratore, del vedere in tempo reale le correzioni e le modifiche che vengono fatte. In più è accessibile da vari device e quindi è super comodo e versatile. Mi è capitato questa estate di aiutare mio padre con un documento che doveva stampare. Ho fatto al volo le correzioni tramite smartphone mentre ero fuori città: in un paio di click sono riuscito a raggiungere il mio scopo dal bar dove ero (e poi mi sono dedicato alla mia colazione). Poi Google Drive ti permette di allegare i contenuti alla tua casella di posta Gmail, poi c’è l’archiviazione e Dio solo sa quante altre cose fa! Tra l’altro, di recente ho scoperto che occupano spazio solo i file “esterni”, mentre quelli creati con gli strumenti Google no. Fateci caso!
Keep è uno strumento sempre di Google, che vi permette di prendere appunti. Io l’ho scoperto leggendo il libro di Bandiera e ne ho copiato l’uso che ne fa lui. Molto semplicemente ho il widget sul mio smartphone e lì scrivo tutto quello che mi passa per la testa (idee per nuovi articoli o podcast) e cose che mi colpiscono, che poi mi ritrovo in tempo reale sul mio computer. Ho quindi modo di avere sempre tutto a portata di mano senza fare copia incolla da un device all’altro.
Da tempo con Pocket ho un rapporto di odio e amore perché questa app può diventare il paradiso dei procastinatori. Pocket infatti vi permette di salvare un contenuto che trovate interessante e vi dà la possibilità di leggerlo successivamente. Si installa sul browser e si sincronizza con l’app presente sul vostro smartphone. Può diventare il paradiso dei procastinatori perché dentro ci possono finire articoli che deciderete di non leggere mai. Io, dopo un primo utilizzo spasmodico in cui salvavo tutto e non leggevo nulla, mi sono dato una calmata e ora riesco a gestire tutto con più tranquillità. C’è la possibilità di condividere il proprio archivio con altre persone e organizzare il tutto attraverso tag.
Anche Slack ha dei canali dedicati (come quelli di Telegram) ma devo essere sincero non li ho mai frequentati più di tanto. Uso Slack per ciò che è diventato famoso e cioè la gestione dei messaggi e delle discussioni su un particolare processo con i propri collaboratori. In più, le tante integrazioni lo rendono sempre più performante e una spanna sopra i competitor. Non vi nascondo la mia felicità quando ho scoperto che sullo smartphone silenziava in automatico le notifiche dopo una certa ora. Magari adesso è una funzionalità banale, ma quando l’hanno introdotta… wow!
Devo essere onesto, con Trello ho un rapporto di amore e odio e chi collabora con me lo sa. Lo uso, ma poi mi stanco e lo perdo di vista. Devo lavorarci, lo so. Anche perché la potenzialità di uno strumento simile è innegabile. Trello vi permette di organizzare i vari compiti e suddividerli tra i vari collaboratori. C’è la possibilità di commentare, modificare, e tanto altro. A me è capitato anche di utilizzarlo come to do list in vista di un evento: ho segnato le cose che dovevo fare e con chi. A mano a mano che le cose venivano fatte aggiornavo la board. È forse una forzatura, ma in quella occasione ha funzionato.
Già conoscevi questi strumenti? E tu? Cosa usi per lavorare? Quali sono gli strumenti che chi fa smart working dovrebbe usare? Fammelo sapere e aiutami a allungare questa lista!
Il Business Model Canvas è forse lo strumento più conosciuto da chi vuole mettere in piedi un progetto di impresa. In questo articolo abbiamo concentrato tutto quello che sappiamo su questo strumento: c’è il frutto della nostra esperienza personale e della lettura di Creare modelli di business, la traduzione italiana del libro che lo ha fatto conoscere al mondo. Parliamo nell’ordine:
Breve introduzione
Perché usare il Business Model Canvas
I nove blocchi del Business Model Canvas
Parte destra del Business Model Canvas
Parte sinistra del Business Model Canvas
Gli errori da evitare quando si compila il Business Model Canvas
Il Business Model Canvas può essere usato per tutti i tipi di business e in un qualsiasi fase di vita. È talmente potente che ne sono nate versioni per Enti No Profit con fini culturali osociali.
Il segreto del successo del Business Model Canvas è l’essenzialità delle informazioni che ti permette di immagazzinare, informazioni che vengono suddivise in nove blocchi che ritornano in ogni tipo di azione relativa all’esistenza di una organizzazione. Lo sa bene il suo ideatore Alexander Osterwalder che in una intervista ha specificato come il Business Model Canvas sia frutto di uno studio scientifico su diversi modelli di azienda che hanno permesso a lui e al suo team di individuare i nove blocchi e assegnare a ciascuno una posizione specifica. Da quando è stato inventato il Business Model Canvas è utilizzato in tutto il mondo, e ha generato una mole di tool adatti a ogni tipo di esigenza. Vediamo perché anche tu dovresti usarlo per il tuo progetto.
Perché dovresti usare il Business Model Canvas
Il Business Model Canvas ti permette di avere una fotografia completa e sintetica dello stato dell’arte di un progetto. Il suo segreto sta nella semplicità con cui si compila e nel quadro che – una volta terminato – restituisce. ATTENZIONE! Nonostante sia semplice non è infatti detto che debba essere compilato con semplicità. Solo inserendo i dati giusti questo strumento rivela tutta la sua potenza e utilità. In ogni caso, è uno strumento estremamente maneggevole che può essere aggiornato facilmente. Solitamente è il primo documento che si compila quando si ha una idea di impresa o si vuole implementare una nuova soluzione nella propria azienda. Viene fatto ancor prima del Business Plan e anzi, può rappresentarne una guida. È quindi importante compilare il Business Model Canvas con attenzione e con tutto il team, in modo da avere un quadro di insieme completo e condiviso. Io lo uso periodicamente su Start Me Up perché mi permette di capire lo stato dell’arte dell’intero progetto: una volta completato decido se e come modificare alcuni aspetti. Ma capiamo meglio come è fatto il Business Model Canvas.
I nove blocchi del Business Model Canvas
Il Business Model Canvas ha nove blocchi che possono essere raggruppati in due grosse macro aree: una a sinistra e l’altra a destra. Guardando il Business Model Canvas, notiamo che la parte di sinistra riguarda tutti gli aspetti interni a una azienda, ciò che non si vede ma che è fondamentale per produrre e portare a termine la propria mission (o sarebbe meglio dire il valore, ma lo spieghiamo tra un attimo). A destra c’è invece tutta la parte esterna all’azienda, riferita al modo con cui si ha intenzione di relazionarsi con la propria clientela. Non è una divisione fatta a caso. Pensiamo al nostro cervello e al modo in cui è organizzato. L’emisfero sinistro è quello dedicato alla logica, al ragionamento, a destra invece dominano le emozioni, le sensazioni. Sono due aspetti totalmente in linea con le divisioni create da Osterwalder e il suo team. Se infatti i rapporti con il proprio pubblico si basano principalmente sulle emozioni, è la logica che sta dietro alla strutturazione di un processo creativo/produttivo. Se invertissimo le due cose, avremmo serie difficoltà a far quadrare i conti.
Ma dicevamo dei blocchi. Sono nove in tutto e partendo da destra verso sinistra abbiamo:
Da quale blocco partire? Qui ci sono due scuole di pensiero. La persona che per prima mi ha introdotto al Business Model Canvas ha descritto come primo blocco quello del Valore, che è messo al centro non a caso. Il valore di un business è effettivamente il cuore dell’intero progetto che si intende analizzare attraverso questo strumento e tutti gli aspetti descritti negli altri otto blocchi sono profondamente connessi ad esso. In realtà, molti esperti e facilitatori, e gli stessi autori di “Creare modelli di business” che ha spiegato al mondo le potenzialità del Business Model Canvas partono dal blocco più a destra, quello cioè dei segmenti di clientela. La giustificazione di una scelta simile è data dal fatto che ogni prodotto e/o servizio nasce per soddisfare un determinato tipo di clientela. È perciò importante individuare il settore giusto a cui rivolgersi che possa – come è facile immaginare – riconoscerne il valore.
Parte destra del Business Model Canvas
Per comodità qui partiremo dalla parte destra del Business Modela Canvas, quindi dal segmento di clientela, per poi passare al valore e in seguito a tutti gli altri blocchi.
Segmenti di clientela
Qui è importante definire il target di clientela che si intende aggredire. Può essere definito sotto diversi aspetti: aspetti demografici, geografici, possibilità di spesa e tipologia di utilizzo che possono fare del nostro prodotto/servizio. È fondamentale ad esempio chiedersi se i loro bisogni giustifichino un’offerta distinta o se possono essere raggiunti attraverso canali diversi. I parametri scelti possono essere più di uno, ma manco a dirlo, devono essere rilevanti al fine del nostro business.
> A quali domande risponde questo blocco?
Per chi creo valore?
Chi sono i clienti più importanti?
Valore offerto
Il Valore Offerto è il motivo principale per cui il nostro target di clienti sceglie il nostro prodotto/servizio. È al centro del Canvas perché è il cuore del nostro progetto e ogni quadrante lavora in funzione di esso. Non va confuso con il valore economico, che ne rappresenta un aspetto e lo determina in parte. Il valore del nostro prodotto/servizio è quello che ci rende unici sul mercato, il motivo per cui i clienti ci preferiscono agli altri.
> A quali domande risponde questo blocco?
Che tipo di valore fornisco ai miei clienti?
Quale problema li aiutiamo a risolvere?
Quale bisogno dei miei clienti soddisfiamo?
In che modo?
Canali
I Canali servono principalmente per presentare ai clienti il valore offerto dal nostro prodotto/servizio, ma non solo. In “Creare modelli di business” gli autori individuano almeno altre quattro funzioni:
far crescere nei clienti la consapevolezza riguardo i prodotti e servizi offerti da un’azienda;
aiutare i clienti a valutare il valore offerto da un’azienda;
aiutare i clienti ad acquistare specifici prodotti e servizi;
fornire ai clienti un supporto post vendita.
Per facilitare l’individuazione dei canali della propria azienda è utile tenere a mente le cinque fasi che ogni cliente affronta nel momento in cui deve avere a che fare con il nostro prodotto/servizio:
la consapevolezza;
la valutazione;
l’acquisto;
la distribuzione;
il post-vendita.
> A quali domande risponde questo blocco?
Attraverso quali canali vogliono essere raggiunti i nostri clienti?
Quali funzionano meglio?
Quali sono quelli più efficienti a livello di costi?
Come si integrano con le abitudini dei clienti?
Relazioni con i clienti
Tra le relazioni con i clienti è necessario individuare tutte quelle azioni finalizzate:
all’acquisizione di nuovi clienti;
alla fidelizzazione di quelli esistenti;
all’incremento delle vendite.
Rientrano pertanto in questa categoria i servizi di customer-care ad esempio o quei dettagli che contribuiscono ad alimentare il cosiddetto effetto wow del nostro prodotto/servizio. Possono variare in base al numero dei segmenti di clientela che abbiamo individuato.
> A quali domande risponde questo blocco?
Che tipo di relazione intendiamo instaurare con i diversi segmenti di clientela?
Quali relazioni abbiamo già stabilito?
Prevedono un costo?
Flussi di ricavi
Il quadro dei flussi di ricavi chiude la parte destra del Business Model Canvas e serve a identificare le modalità con cui pensate di avere delle entrate. Non vanno perciò inserite delle cifre, ma è necessario individuare in che modo intendete alimentare dal punto di vista economico l’intero processo. I tipi di flussi di ricavi sono principalmente due:
Quelli che arrivano da transizioni che derivano da pagamenti in unica soluzione da parte dei clienti;
Quelli relativi a pagamenti continui derivanti dal valore offerto al cliente o dell’offerta di supporto post vendita.
Naturalmente, il non voler affrontare il discorso dei ricavi cifre alla mano è strettamente connesso al momento di analisi. Può sembrare banale specificarlo ma è bene sottolineare quanto fondamentale sia trovare dei flussi che permettano entrate superiori ai costi, così da mantenere in attivo il nostro prodotto/servizio. È un aspetto che può essere preso in considerazione anche successivamente (anche perché molto spesso, sopratutto in fase di startup, è necessario testare diverse soluzioni prima di trovare quella ideale), ma che comunque non va sottovalutato o, ancora peggio, ignorato.
> A quali domande risponde questo blocco?
Per quale valore i nostri clienti intendono pagare?
Per cosa pagano?
In che modo pagano?
Quanto contribuisce ai ricavi ogni flusso di ricavi?
Parte sinistra del Business Model Canvas
Veniamo adesso alla parte sinistra del Business Model Canvas, quella cioè dedicata ai processi “interni” della nostra azienda. È quella legata ai ragionamenti logici, ricordiamoci quindi che dobbiamo cercare di ottimizzare ogni aspetto così da ridurre i costi, senza inficiare il valore che intendiamo offrire al nostro segmento di clientela.
Risorse chiave
Le Risorse chiave sono gli strumenti che permettono alla nostra azienda di:
creare il valore offerto;
raggiungere i mercati;
mantenere le relazioni con i segmenti di clientela;
ottenere dei ricavi.
Rientrano in questo quadro tutte le risorse fisiche, finanziarie, intellettuali, umane che l’azienda può acquistare o prendere a noleggio. Da sottolineare: le risorse da elencare DEVONO essere “chiave”, cioè importanti per il lavoro dell’azienda, senza di esse non è possibile veicolare la proposta di valore.
> A quali domande risponde questo blocco?
Quali sono le risorse necessarie per veicolare il nostro valore?
Quali i nostri canali di distribuzione?
Le relazioni con i clienti?
Attività chiave
Se nelle risorse abbiamo individuato le “cose” che ci servono per veicolare il valore offerto, qui è necessario individuare le azioni necessarie a questo scopo. A grandi linee, possono essere categorizzate in:
produzione;
problem-solving;
creazione di una piattaforma e/o una rete.
> A quali domande risponde questo blocco?
Quali sono le attività necessarie per veicolare il nostro valore?
Quali i nostri canali di distribuzione?
Le relazioni con i clienti?
Partnership chiave
Parliamoci chiaro, una sola azienda non può fare tutto. Sarà pertanto necessario stringere delle partnership con altre aziende per ottimizzare i propri modelli di business, ridurre i rischi e acquisire risorse. Genericamente ne individuiamo di quattro tipi:
alleanze strategiche fra non concorrenti;
competizione collaborativa (partnership strategiche fra concorrenti);
joint-ventures per sviluppare nuovi business;
relazioni acquirente fornitore per assicurarsi fornitori affidabili.
> A quali domande risponde questo blocco?
Chi sono i nostri partner chiave?
Chi sono i nostri fornitori chiave?
Quali risorse acquisiamo da partner?
Quali attività chiave svolgono i nostri partner?
La struttura dei costi
Nella struttura di costi vanno inserite tutte le voci di spesa utili a sostenere il modello di business che abbiamo immaginato. Anche in questo caso, in questa fase le cifre ci importano poco, quello che realmente ci interessa è distinguere le strutture dei costi. Solitamente i modelli di business rientrano in due grandi classi:
quella basata sui costi;
quella basata sul valore.
> A quali domande risponde questo blocco?
Quali sono i costi più importanti del nostro business model?
Quali tra le risorse chiave sono quelle più costose?
Quali tra le attività chiave sono quelle più costose?
Una volta compilato anche l’ultimo blocco e fatti i dovuti aggiustamenti, sotto gli occhi dovreste avere il quadro completo della vostra azienda.
Gli errori da evitare quando si compila il Business Model Canvas
Stampare il Business Model Canvas in A4
Può sembrare una finezza, ma in realtà più lo schema che avrete davanti è grande, meglio vi troverete a lavorare con il Business Model Canvas. È decisamente sconsigliato stampare il Business Model Canvas in un foglio A4: troppo poco lo spazio. Vi confesso che anche in formato A3 io ho avuto qualche difficoltà. Una misura accettabile può essere quindi l’A2 o ancor meglio l’A1. Una volta per un workshop per sbaglio abbiamo stampato dei Business Model Canvas in A0: ci sono costati un botto, sono scomodissimi da portare, ma lavorarci è una goduria incredibile!
Ignorare che i Post it sono i migliori amici del Business Model Canvas
No, non si scrive direttamente sul Business Model Canvas, con la penna poi! Questo strumento nasce per essere flessibile e può capitare che una volta compilato un blocco ci si accorga che va cambiato qualcosa in quello compilato precedentemente. Il consiglio è quello di usare i post it, uno per ogni cosa scritta, mi raccomando! Ci permettono di essere estremamente flessibili e soprattutto ci aiutano, alla fine del processo, a selezionare gli elementi più importanti per ogni blocco (come? Lo vedremo in un altro articolo).
Ad esempio, se ci sono più segmenti di clientela a cui è necessario dedicare azioni e/o risorse specifiche come possiamo graficamente organizzare le nostre azioni? In questo caso basterà aiutarsi con post it di colore diverso così da avere a colpo d’occhio la distinzione necessaria per orientarsi.
In più, le aziende sono vive e possono cambiare: lo stesso vale per il Business Model Canvas. Magari nel giro di sei mesi capite che un determinato segmento di clientela non è realmente interessato al valore che offrite e allora sarà necessario cambiare qualcosa in uno dei due quadranti. E successivamente dovrete verificare se nel resto dei quadranti sia necessario modificare qualcosa.
Se scrivete direttamente sul Business Model Canvas rischiate di trasformare tutto in un enorme pasticcio: i post it vi permettono di mantenere tutto in ordine. I post it sono i migliori amici del Business Model Canvas.
Considerare i blocchi del Business Model Canvas singolarmente
Spesso quando si compila il Business Model Canvas si tende a considerare i vari blocchi singolarmente. È un errore e non bisogna farlo mai! Si rischia di inficiare tutto il lavoro e questo strumento perde del tutto il suo significato. È lo stesso Alexander Osterwalder a metterci in guardia con un esempio. Pensate all’iPod: se tra i partner chiave non avesse avuto le case discografiche non sarebbe stato l’oggetto rivoluzionario che è stato! E il suo valore sarebbe stato certamente inferiore rispetto a quello percepito dal proprio segmento di clientela.
Non usare abbastanza il Business Model Canvas
Per capire al meglio il Business Model Canvas è necessario frequentarlo il più possibile. L’invito è quello di utilizzarlo quanto prima. La Strategyzer offre anche dei corsi ma in realtà è uno strumento talmente semplice che anche con solo un po’ di pratica è possibile maneggiarlo al meglio. Qui trovate il template al pdf che potete scaricare e iniziare a usare. Mentre in questo video ci sono esempi di Business Model Canvas (dovrebbe iniziare al minuto 10:25).
Portare un intero team di 40 persone in ritiro aziendale per un mese. È ciò che una delle più promettenti startup svedesi fa ormai da tre anni. Stiamo parlando di Mentimeter, il cui team negli anni passati ha vissuto a Barcelona e Lisbona. Quest’anno il team ha deciso di passare il mese di febbraio a Palermo e noi non potevamo perdere l’occasione per incontrare il Ceo Johnny Warström e fargli qualche domanda.
Con Johnny ripercorriamo i primi passi di Mentimeter, da come è nato il tool, il primo contratto e l’idea che sta dietro a una delle startup che più è crescita negli ultimi anni. Mentimeter ha avuto anche la possibilità di vivere e lavorare in 500startups, uno dei più importati incubatori della Silicon Valley. Ed è prezioso, a nostro avviso, sapere cosa questa esperienza ha lasciato loro: noi qui non scriviamo nulla perché lasciamo che sia Johnny a dirlo nel podcast. In più si parla anche di Svezia e del suo incredibile ecosistema startup: probabilmente il più florido d’Europa. Proprio grazie all’esperienza internazionale del team Johnny dà una sua interpretazione a ciò, con spunti interessanti e non poi così complicati da intuire ma sicuramente da attuare.
E poi naturalmente parliamo di questo ritiro aziendale palermitano. Dall’ufficio che hanno affittato “La bella Palermo” a dir poco pazzesco, ai benefici che una pratica del genere ha sul team e sullo sviluppo del prodotto. Sin dal primo anno infatti Mentimeter ha tenuto in forte considerazione questi ritiri aziendali all’estero, tenendo presente determinati parametri e aspettandosi precisi risultati. Non stiamo quindi parlando di una vacanza perché il team di Mentimeter continua a lavorare e anche parecchio (abbiamo fatto un giro nel loro ufficio palermitano e ve lo possiamo assicurare). Certo è che una simile pratica è più facile di quanto si possa immaginare, soprattutto se si parla di una compagnia che lavora con un computer e una connessione internet. E i benefici? Tanti e inaspettati: e non potrebbe essere altrimenti visto che il ritiro aziendale di Palermo arriva dopo quello a Barcelona e quello a Lisbona.
Questo podcast è stato possibile grazie a Push che mi ha ospitato per la registrazione dell’intervista e Federica De Luca del team di Mentimeter che mi ha dato una mano dal punto di vista logistico. A entrambi va il nostro più prezioso “grazie”!
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SEO Tester Online è la web suite pensata per aiutare blogger, consulenti SEO, aziende e web agency a monitorare e migliorare la visibilità organica del proprio sito o di quello dei propri clienti sul web, grazie a strumenti innovativi per la SEO e il web marketing. Forse lo ricorderete perché due anni fa abbiamo ospitato uno dei suoi founder, Vittorio Urzì, durante le fasi iniziali di questa avventura.
Clicca per ascoltare il podcast (min. 7 in poi)
Nuova versione, nuove funzioni
Da qualche giorno Seo Tester Online è tutto nuovo: la suite è composta da 4 strumenti per la SEO e il web marketing. La piattaforma, totalmente web-based, permette di conservare ogni dato online, azzerando così l’impatto sull’Hard Disk degli utenti. Le funzioni offerte da Seo tester online sono:
SEO Checker
Il tool per l’analisi SEO online di una pagina web. Un vero e proprio check-up SEO pensato per analizzare ogni aspetto della corretta ottimizzazione di una pagina web. Uno strumento capace anche di suggerire soluzioni e consigli per la risoluzione delle criticità riscontrate (è quello che usiamo anche noi di Start Me Up).
Keyword Explorer
Lo strumento per confrontare parole chiave che vi aiuterà a individuare gli intenti di ricerca dei vostri utenti prima di ottimizzare una pagina web, un articolo per un blog aziendale o personale o una scheda prodotto per un e-commerce.
SEO Spider
Lo strumento più efficace per effettuare un SEO Audit online. Permette di effettuare l’analisi completa di un sito web di qualunque dimensione ad una velocità sorprendente e con estrema semplicità.
SEO Editor
L’assistente editoriale per scrivere contenuti ottimizzati. Un editor di testo potenziato grazie ad algoritmi di controllo sui parametri SEO e dotato di un sistema di analisi per un costante monitoraggio delle parole chiave e dello stato dell’ottimizzazione. Uno strumento per il content marketing pensato per chi vuole scrivere in un’ottica “SEO-copywriting”.
Il Team di Seo Tester Online
SEO Tester Online non è solo analisi SEO di un sito web
Dire che SEO Tester Online è una piattaforma di analisi SEO è davvero riduttivo! SEO Tester Online è progettato per spingersi oltre l’analisi di dati, con una vocazione al suggerimento proattivo di soluzioni e best practices contestualizzate rispetto alle criticità individuate in fase di analisi. Un vero e proprio supporto nello sviluppo della strategia di ottimizzazione che chi si occupa di business dovrebbe avere per il proprio sito web. SEO Tester Online permette a chiunque di concentrarsi solo sui dati e sulle informazioni che contano. Perché non provarlo già ora?
Poter costituire una SRL online, senza quindi dover passare da un notaio è un grande passo avanti. Ma questo non significa certo che l’iter sia facilitato. La documentazione è molta e per farsi strada tra la burocrazia Andrea Giannangelo ha creato Iubenda. La mission di questa startup è proprio aiutare – dietro compenso, ovviamente – chiunque voglia costituire una SRL online. Come? Scopritelo in questo podcast.
Perché ascoltare questo podcast?
Per sapere cosa bisogna aspettarsi quando si decide di costituire una srl online;
Capire se Iubenda possa fare al caso vostro.
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[FABIO] Quarantasettesimo Podcast di Start Me Up, il format che parla di innovazione tecnologica e sociale al Sud Italia. Ben ritrovata o ritrovato a te che stai ascoltando, la voce al microfono è di Fabio Bruno. Start Me Up è prodotto da Smartwork idee digitali per il mondo reale con la fondamentale collaborazione di keedra hosting, servizi web per il tuo business.
[FABIO] Come sicuramente saprai da luglio 2016 è possibile costituire una startup direttamente online, senza quindi passare dal notaio. Un bel risparmio di denaro e di tempo, sopratutto di denaro diciamo, visto che comunque la documentazione da presentare è – giustamente mi verrebbe da dire – tanta. Iubenda nasce proprio per chi ha intenzione di costituire una startup online e non vuole stare dietro a documentazioni da presentare in giro, dico bene Andrea?
[ANDREA] Esatto basta andare su Iubenda.com/srl e da lì c’è una procedura guidata che permette di creare lo statuto e poi c’è un nostro legale che rivede lo statuto, ne verifica la compilazione. In generale il nostro team aiuta costantemente tutto il processo di costituzione e in più il nostro sistema aiuta a compilare gli allegati necessari in generale a produrre tutta la documentazione necessaria per presentare la pratica di costruzione di una srl. Poi da lì siamo noi a gestire tutta l’interazione con la Camera di Commercio, o l’agenzia entrate o comunque con l’autorità di riferimento per portare a compimento il processo di costruzione. Tutto ciò ha un costo ancora di €500 iva inclusa, in cui dentro ci sono anche le firme digitali per tutti i soci e in più si aggiungono 200 euro di tasse che sono le uniche tassa ancora esistenti per la costituzione di una srl.
[FABIO] La voce è di Andrea Giannangelo, il CEO di Iubenda. Con lui cerchiamo di capirci un po’ di più su un passaggio che è fondamentale per chi vuole fare startup. Andrea, cosa si intende per SRL costituita online?
[ANDREA] La srl online è un tipo particolare di Srl in realtà si intende una srl che si può iscrivere al registro startup innovative. Per SRL è la classica società a responsabilità limitata e il registro startup innovative è un particolare registro a cui si può iscrivere rispettando certi requisiti. In particolare l’oggetto sociale deve essere innovativo e ad alto valore tecnologico in più la sua deve essere in possesso di almeno 1 di 3 requisiti il più facile da raggiungere è quello di avere almeno una parte delle spese in ricerca e sviluppo. Se la SRL è anche startup innovativa accedere a questa nuova procedura di costituzione online che quindi permette di fare a meno del notaio.
[FABIO] E chi può costituire una SRL online?
[ANDREA] Chiunque. Posto che siano rispettati i criteri di Startup innovativa, quindi sicuramente l’impresa deve essere innovativa ad alto valore tecnologico. Se effettivamente l’attività che si svolge innovativa allora si può accedere a questa procedura che ha dei costi minori rispetto all’atto notarile e ha al vantaggio di essere di poter essere svolta interamente online.
[FABIO] Veniamo adesso a Iubenda. Dimmi la verità, ci mettete davvero 5 minuti a costituire una SRL online?
[ANDREA] Allora 5 minuti sono il tempo richiesto per creare lo statuto. Nel momento in cui è stato creato lo statuto, noi lo rivediamo e a quel punto però inizia un iter la cui durata dipende tendenzialmente dalla camera di commercio di riferimento. Ci sono alcune camere di commercio molto veloci che completano la pratica di revisione entro qualche giorno e ci sono altre camere commercio magari più periferiche che invece impiegano di più. Al momento purtroppo c’è molta disomogeneità, derivante al fatto che poi la pratica va inviata alla camera di commercio locale e le camera di commercio sono più o meno veloci a rispondere. Oggi la situazione è che se hai fretta e vuoi costituire startup subito devi comunque andare al notaio. Se invece vuoi realizzare una procedura remota, ad esempio i soci non sono tutti sullo stesso posto, ad esempio o comunque ti interessa utilizzare questa procedura nuova che è più snella e ti fa anche risparmiare qualcosa allora hai la possibilità di costituire online la tua startup. Però ci vorrà un po’ di tempo, circa qualche settimana.
[FABIO] Tralasciando i tecnicismi che possono essere letti sul sito iubenda.com e al di là del tempo risparmiato, quali sono le garanzie che date a chi si rivolge a voi per costituire la propria SRL?
[ANDREA] La SRL è la stessa non c’è nessuna differenza tra una SRL costituita online e una SRL costituita con il notaio sono per il fatto che quelle online si appoggiano ad uno statuto tipizzato che però è molto personalizzabile quindi realtà non presenta grandi limiti. Quando lo statuto e l’atto costitutivo vengono compilati dai soci c’è un nostro avvocato dedicato che rivede la pratica corregge l’oggetto sociale e cerca di anticipare le eventuali osservazioni che potrebbe essere altrimenti la Camera Commercio a fare così da garantire un procedere la pratica il più fluido possibile. In più dal punto di vista delle garanzie consideriamo che è la Camera di Commercio stessa ad effettuare tutti i controlli per esempio quelli antiriciclaggio, controlli sul titolare effettivo e via dicendo che di fatto sono gli stessi controlli che fa il notaio quando costituisce e in più per la parte invece di riconoscimento di soggetti ricordiamo che lo statuto e l’atto costitutivo vengono sottoscritti con firma digitale che prevede un riconoscimento dei soggetti. Quindi dal punto di vista delle garanzie noi operiamo semplicemente da facilitatori però poi c’è la Camera di Commercio che effettivamente verifica le pratiche in maniera molto puntuale.
[FABIO] State ascoltando Start Me Up, al microfono c’è Fabio Bruno e in questo podcast stiamo ospitando Andrea Giannangelo, CEO di Iubenda. Andrea leggo dal vostro sito che per sottoscrivere i documenti utilizzate Infocert, come funziona?
[ANDREA] Infocert non è altro che uno dei fornitori di strumenti per erogare firme digitali. Come dicevo per poter firmare quindi per sottoscrivere l’atto costitutivo e lo statuto sono necessarie delle firme digitale. La firma digitale è una specie di dispositivo autenticato collegato la tua identità e quindi prevede che ci sia un riconoscimento. Quello che fa InfoCert è effettuare il riconoscimento e emettere una specie di password che poi viene utilizzata per firmare documenti. Quindi quando io firmo questo documento è certificato che chi firma sono io. Il vantaggio di InfoCert è che è l’unico al momento sul mercato a offrire la firma remota e quindi a prevedere che l’intera erogazione della firma digitale remota non preveda pennette USB o smart card.
[FABIO] Qual è nei vari passaggi dell’iter da voi seguito il problema più ricorrente che ogni persona che vuole costituire una SRL online riscontra e che quindi vi trovate a risolvere più spesso?
[ANDREA] Il problema più che altro è derivante dal fatto che le camere commercio specifiche non sono sempre pronte, non sono sempre veloci, spesso richiedono documentazione diversa l’una dall’altra. Per esempio i moduli antiriciclaggio sono molto diversi tra una camera di commercio e un’altra. Noi adesso ne abbiamo indicizzati una decina e ogni volta c’è da compilare qualcosa di leggermente diverso quindi dovrebbe essere l’istituzione a fare un lavoro di omogeneizzazione dello dell’Inter nel momento in cui fatta la parte standardizzata si passa alla Camera di Commercio. Ed è lì che sicuramente c’è da migliorare dove si perde poi più tempo.
[FABIO] Immagino tu non abbia costituito Iubenda online, ma quando ti sei trovato tu a costituire Iubenda, qual è stata la cosa più difficile da affrontare?
[ANDREA] Ma sicuramente capire tutti i tecnicismi da giovanissimi e primissimo imprenditore, anzi non ancora imprenditore relativi alla costruzione di una azienda. Per esempio l’oggetto sociale, capire come funziona il capitale sociale, quanto va versato, cos’è sovrapprezzo, quando va versato il restante 35%. Poi tra l’altro allora non c’era la possibilità come adesso di versare il capitale solamente di €1 ma il capitale minimo era €10000 di cui potevi versare un quarto, però poi in sede di aumento di capitale va versato anche restante 3/4. Quindi tutte queste difficoltà le ho affrontate e il bello è che sarebbe stata una figata avere un servizio come quello che stiamo offrendo adesso, che ti spiega ecco cosa sta succedendo. Se provi a compilare lo statuto e che è completamente gratuito e puoi già creare e vedere il documento come viene fuori e ti rendi conto che processo è completamente guidato, i dati insomma sei facilitato nell’inserirli, hai una chat live con un operatore che ti aiuta. Insomma, è veramente uno spettacolo da quel punto di vista.
[FABIO] Se dovessi dare un consiglio più che da CEO, ma da startupper, quale consiglio daresti a chi ci ascolta e sta pensando di costituire online la propria SRL?
[ANDREA] Io direi di informarsi bene prima di eventualmente avventurarsi da soli nel fare la procedura perché non è semplice e si rischia insomma di rimanere impantanati. Proprio perché a secondo delle camere di commercio sono molto diversi i requisiti, sono molto diversi i documenti che vengono chiesti. In più la procedura purtroppo non è così facile e quindi quel poco di corrispettivo che chiediamo noi realtà secondo me –ovviamente parlo io – è ben investito. Potete tranquillamente chiedere online, ci sono un po’ di testimonianze di chi ha provato a fare da solo e non sono sempre edificanti. Noi permettiamo di andare tranquilli, ci vuole il tempo tecnico, qualche settimana. Si può risparmiare parecchio essendo però ben guidato e ben assistito.
[FABIO] Questa è una domanda un po’ provocatoria, ma non posso non fartela. Iubenda non si sostituisce a un notaio, naturalmente, ma è pur sempre un intermediario. Il vostro servizio non cozza un po’ con lo spirito della legge del luglio 2016 che nasceva proprio per rimuovere gli intermediari per chi volesse fare impresa?
[ANDREA] Diciamo che l’obiettivo della legge non credo che fosse rimuovere gli intermediari comunque. Per come è la legge, per costituire un’azienda in Italia comunque ci sono dei concetti che non sono così facili: capitale sociale, l’oggetto sociale che va redatto. Di fatto l’impianto è quello. L’obiettivo secondo me è realizzabile senza riformare l’intero diritto italiano è quello di rendere più semplici le procedure più che eliminare gli intermediari, permettere agli intermediari di farsi concorrenza. Il discorso è che è stato molto intelligente, e non ha così tanti corrispettivi questo approccio, quello di creare una procedura che ha aperto a chiunque, incluso il socio fai da te, che può cercare di comprendere come si fa, qual è la procedura per costituire una srl online, eventualmente anche da solo. È molto complicata e si rischia veramente, per i motivi che spiegavo prima, però è possibile. Questo permette però ad anche altri soggetti senza particolari abilitazioni di offrire un servizio che facilita così come stanno le cose e con un corrispettivo giusto, così come fa il commercialista per la contabilità o un avvocato nel momento in cui tu ti rivolgi a lui, nel mercato quindi con la normale competizione di facilitare il processo. Il problema è adesso che volendo senza nessun problema rispetto alla categoria notai, però sicuramente essendo una categoria composta da pochi soggetti, il problema è il fatto che è tendenzialmente una categoria chiusa. Sicuramente non è una categoria competitiva. Chiaramente ci sono pro e contro di avere una scelta del genere. Però questo strumento qui è aperto. Se ci pensi le altre procedure di interfacciamento con le autorità non sono aperte. Se non poche cose, di solito devi abilitarti come intermediario. Quindi è un bell’esempio secondo me. Così stanno le cose nel diritto societario, nel senso fare qualcosa che possa fare sia il socio o l’imprenditore fai da te, sia una società che voglia rendere più efficiente quello che lo stato fa.
[FABIO] Grazie mille Andrea!
[ANDREA] grazie a voi!
[FABIO] Lui era Andrea Giannangelo di Iubenda. Trovi tutti i link a cui abbiamo fatto riferimento su radiostartmeup.it.
[FABIO] Se ti è piaciuto questo podcast dillo sui social o con una recensione su iTunes. O magari unisciti ai fan di Start Me Up su facebook oppure segui il programma su twitter, linkedin e instagram. Segnalami progetti e storie che vuoi sentire o, perché no? Raccontare tu stesso a Start Me Up. Abbonati ai podcast così li ricevi direttamente sul tuo smartphone o computer. Puoi usare iTunes o il feed RSS che trovi su radiostartmeup.it
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[FABIO] Start Me Up è prodotto da smartwork idee digitali per il mondo reale e reso possibile grazie al contributo di keedra hosting, servizi web per il tuo business. Io sono Fabio Bruno, grazie per aver ascoltato questo podcast, alla grande!